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Articoli Recenti, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

I popoli del deserto

Come si può facilmente immaginare, la vita nel deserto è molto difficoltosa, per questo motivo le aree desertiche sono tra le meno popolate al mondo.

La popolazione del deserto più nota è quella dei Tuareg, nomadi e organizzati in piccole tribù, non superiori ai 40 membri. Sono principalmente stanziati nel sud dell’Algeria, nel Niger e nel Mali. La loro religione è islamica. Sono soprannominati “uomini Blu” per via del colore del telo con cui gli uomini si avvolgono la testa ed il viso, lasciando
scoperta solo una stretta fessura per gli occhi. Indossano una lunga veste chiamata
caftano, che serve ai Tuareg per ripararsi dal vento e dalla sabbia del deserto. Si dedicano soprattutto alla pastorizia e all’agricoltura nelle oasi e all’allevamento di dromedari.

I Tuareg vivono principalmente di prodotti ricavati dai loro animali. La loro alimentazione è costituita da latte cagliato, burro fermentato, datteri e cereali dai quali ottengono la farina. Cucinano un particolare tipo di pane che viene cotto sotto la sabbia rovente del deserto. Si sa poco di preciso sul più antico passato di questo popolo, ma ciò che è certo è che per secoli i Tuareg sono vissuti come dominatori del deserto, esercitando l’allevamento, il commercio transahariano e la razzia, il che portava a frequenti scontri tra tribù.

Sottomessi dai Francesi intorno agli inizi del novecento, i Tuareg poterono mantenere a lungo i propri capi e le proprie tradizioni. Ma con la decolonizzazione videro il loro territorio diviso fra molte nazioni, con la conseguente creazione di frontiere e di barriere che rendevano estremamente difficile, quasi impossibile, il modo di vita tradizionale basato sul nomadismo. L’attrito con i governi al potere si fece sempre più forte e sfociò, negli anni novanta, in aperti scontri tra tuareg e i governi di Mali e Niger; l’intervento militare, che a volte ha massacrato la popolazione di interi villaggi, ha causato la morte di molte persone.

Un altro dei popoli più conosciuti sono i Berberi, nella loro lingua vuol dire “Uomini liberi”. I Berberi sono un popolo nomade originario del Nord Africa e si stima siano 40.000 persone in totale di cui maggior parte vive in territori del Marocco ma alcuni in Algeria, Tunisia e Libia. Negli ultimi anni stanno diminuendo a causa delle emigrazioni. Essi hanno una storia antica e lunga, infatti il primo segnale rinvenuto a far capire la loro presenza risale a 12.000 anni fa, cioè delle pitture rupestri trovate in Libia.

I Berberi sono stati influenzati dagli Arabi nel settimo secolo e da loro hanno preso la religione Islamica, visto che prima erano Cristiani, giudici o animisti (crede che non gli umani abbiano spirito e anima ma anche piante animali e lo stesso pianeta).
Una delle loro particolarità è la struttura sociale: sono divisi in tribù ed ogni tribù ha un capo, spesso uomini. Qui a differenza dei Tuareg è l’uomo a scegliere la donna, ma in alcuni casi dipende dalle famiglie e cambia in base alle regioni. Di solito gli uomini pensano al bestiame e le donne alla famiglia e all’artigianato. La loro alimentazione si basa primariamente sul granturco, latte di pecora, formaggio di capra, burro, miele, carne e selvaggina.

La loro cultura è tribale ed è fortemente radicate nella loro tradizione e anche qui cambia da regione a regione, e soprattutto in Marocco costituiscono un enorme patrimonio culturale che rende la nazione unica. Ogni loro celebrazione è rallegrata dalla musica tradizionale, suonata con flauti e batteria accompagnati da un gruppo di ballerini, sia uomini che donne. La loro lingua è divisa in 3 rami, in base alle zone da loro abitate, e fino a qualche anno fa era vietata anche nelle scuole marocchine, ma nel 2011 il re del Marocco, Mohamed VI, la riammise e la fece diventare la seconda lingua ufficiale della nazione. Questa lingua appartiene alla famiglia linguistica afroasiatica, che si lega anche all’egizio, all’arabo e all’ebraico.

Il termine “berbero” deriva dal francese berbère, che a sua deriva dalla prununcia magrebina dell’arabo barbar. Il termine si lega senza dubbio al latino barbarus, con cui, lo ricordiamo, venivano chiamate all’epoca dell’Impero Romano le popolazioni che semplicemente non parlavano la lingua latina.

Articolo di Gabriele Quaranta e Giuseppe D’Amico

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Mescolanza e contaminazioni in Andalusia: il Flamenco

Il Flamenco è una forma di musica e di danza di origine andalusa, che non nasce come vera a propria forma di spettacolo , ma come un modo personale e soggettivo di sfogare i dolori in modo intimo. Si tratta di un ballo inventato dai gitani, che veniva usato come sfogo per chi li perseguitava e nel 2010 è stato dichiarato Patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’Unesco. 

I patrimoni immateriali sono importantissimi perché tramandano cultura e tradizioni, le consacrano, in un certo senso, le tutelano.

L’Andalusia è una terra bellissima che si situa nel Sud della Spagna, che da sempre è fulcro di importati flussi migratori e il Flamenco nasce dalla mescolanza di balli e musiche sia tradizionali che nomadi, una contaminazione bellissima che gitani, mori ed ebrei portarono con sé dalle lontane regioni d’Oriente e d’Occidente e le fusero con le tradizioni europee e spagnole.

Il Flamenco si cantava, inizialmente, senza l’accompagnamento della chitarra, avvalendosi soltanto di supporti ritmici corporali, come il battito dei piedi sul terreno, delle mani oppure delle nocche sul tavolo. Negli ultimi decenni si sono cominciati ad usare nel flamenco anche altri strumenti, come per esempio la chitarra, il sassofono, il flauto, il violino e altri tipi di strumenti a percussione e oggi quindi il Flamenco è una forma di spettacolo a tutti gli effetti e i turisti che vanno in Spagna spesso vogliono assistere a questi spettacoli, bellissimi e coinvolgenti.

Ogni anno, durante il periodo di Pasqua, in tutte le città principali dell’Andalusia, si festeggia la “Feria de Abril” e tra tutte la più famosa è quella di Siviglia. Le ragazze indossano il tipico vestito tradizionale, con un ventaglio e un fiore rosso fra i capelli e gli uomini si vestono da cavalieri gitani. Le strade sono piene di carrozze decorate e risuona la melodia della chitarra spagnola.

Il modello più comune è un vestito fino alla caviglia; a volte anche fatto di due pezzi: gonna e camicia. La gonna è spesso a balze (faralaes) che possono essere posizionati sia sulla gonna che sulle maniche. Di solito è ampia e lunga, perché si deve muovere e deve girare al vento o mentre si balla. La camicia di solito è bianca, rossa o nera, questi sono i principali colori del Flamenco. Il vestito, con disegni sia semplici che a motivi geometrici, o anche a tinta unita a volta, si completa con un tipo di scialle tipico chiamato Mantón de Manila. Immancabili il ventaglio, le nacchere e il fiore nei capelli, in ordine e raccolti. Non vedo l’ora di poter viaggiare dopo il Covid e assistere a uno di questi spettacoli.

Articolo di Lorenzo Verlingieri, classe 2A

Articoli Recenti, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

Tra Instabilità e Consapevolezze nuove: la crisi del mondo islamico

Studiare il mondo contemporaneo, quindi la storia di terza media, ci piace tantissimo, anche nella sua complessità. Forse proprio per questo, perché capirne i meccanismi ci rende cittadini consapevoli.

Qui il nostro approfondimento sul mondo islamico, dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra, guerre, instabilità ma anche voglia di pace, libertà e consapevolezze nuove.

Articolo e power point di Gioia Racanati, Francesco Varrati e Giorgia Trailani

Articoli Recenti, Confini Reali, Contaminazioni, Frontiere e confini

Il Danubio: un confine o un collegamento?

Il Danubio è il secondo fiume europeo, per lunghezza, dopo il Volga, ma il più lungo navigabile di tutta l’Unione Europea. Il suo corso tocca dieci Paesi e quattro capitali europee ed è da sempre un fiume importantissimo, sia perché per lunghi tratti fa da confine internazionale, sia perché è quasi tutto navigabile.

Questo vuol dire che circa 2.600 km sono percorribili, dalla Germania meridionale, dalla catena della Selva Nera, da cui ha origine, fino al Mar Nero interamente sul fiume.

Già i Romani usarono il Danubio come confine dell’Impero Romano, ma anche prima di loro il fiume era un importante zona di confine, sempre più usato dai popoli a questo scopo: i fiumi in effetti sono oggettivamente un confine, ben visibile e naturale, come spesso accade per gli elementi del paesaggio. Anche le Alpi o il Caucaso, o i Pirenei, o altre catene montuose, sono confini naturali. Però allo stesso tempo il fiume è pur sempre una via di comunicazione: il Danubio, infatti, in questo caso, è un collegamento tra i Balcani e l’Europa centrale.

Il Danubio è un fiume fondamentale, inoltre, sia naturalisticamente parlando, sia culturalmente. Il suo delta, che sfocia nel Mar Nero, appunto, è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, perché è ben conservato e mantiene un ecosistema intatto: qui ci sono tantissime specie di flora e fauna: ben 1200 varietà di piante, 45 specie di pesci d’acqua dolce e 300 specie di uccelli. Una biodiversità incredibile!

Capitali bagnate dal Danubio: 
Vienna: qui il Danubio è molto valorizzato, dai locali a riva fino agli sport acquatici che è possibile praticare proprio nel fiume.
Bratislava: qui potrete godere di affascinanti tour sul Danubio e saperne di più.
Budapest:  la Regina del Danubio, perché il fiume divide la parte antica della città (Buda) dalla parte moderna (Pest)
Belgrado: qui invece confluiscono la Sava e il Danubio, i due fiumi incontrano. L’atmosfera è bellissima.

E siccome gli elementi del paesaggio caratterizzano la vita delle persone, devono per forza entrare anche nella cultura dei popoli che lo vivono. Per esempio Strauss scrisse Sul bel Danubio blu, un valzer famosissimo che mette il buonumore.
Buon ascolto: cliccate qui.

Articolo di Mathias La Selva, 2A


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Il ghiaccio e il fuoco

La terra del ghiaccio e del fuoco. L’Islanda è chiamata anche così, perché il suo territorio è davvero particolare dal momento che è ricoperta da vulcani e ghiacciai, soprattutto. Ma non solo. L’Islanda nasconde degli scenari naturali fantastici come bump, geyser, panorami sconfinati, scogliere e iceberg.

Viene definita “terra di ghiaccio”, Ice Land, perché per circa 13. 000 km2, un buon 10%, è ricoperta da ghiacciai. Può essere tuttavia chiamata anche “terra di fuoco” a causa dell’intensa attività dei suoi numerosissimi vulcani e dei fenomeni di vulcanesimo con cui si manifesta il calore racchiuso nelle sue viscere. L’Islanda è infatti un’isola vulcanica.
Tra l’altro un’eruzione nata da una fessura nel terreno sta portando alla nascita di un nuovo vulcano. Vedere e sentire la Terra che cambia, che si trasforma, ci fa sentire più vivi, emozionati di fronte al nostro pianeta che è sempre fonte di stupore

L’Islanda è una terra giovane (circa 20 milioni di anni) e ha una geologia che mi attira molto, infatti si trova proprio a cavallo della dorsale medio – atlantica.  Proprio una faglia vulcanica, tra l’altro, è quella che divide l’isola in due parti che si separano in continuazione ad una velocità di circa 2 centimetri l’anno. Le faglie dunque si allontanano tra loro.

L’Islanda quindi rappresenta la più ampia parte emergente della lunghissima dorsale medio-atlantica che è sommersa nell’Atlantico, ma attraverso la quale risale il magma dagli strati profondi della terra: qualche volta su questa dorsale qualche terra riesce a emergere e a formare delle isole, di natura vulcanica ovviamente proprio come è successo per l’Islanda, o le isole Azzorre.
Conseguenza dei fenomeni vulcanici è l’abbondanza di geysers e di sorgenti calde, che hanno un’ importanza economica notevole, come abbiamo studiato in geografia: l’energia geotermica qui è sfruttatissima.

I vulcani attivi sono confinati a nord del Vatnajokull, il ghiacciaio più grande dell’Islanda ma anche d’Europa. Possiede molte lingue di ghiaccio su ogni lato e ciascuna ha un nome. 8.100 Km² di ghiacci e iceberg, che ricoprono quasi il 10% della superficie dell’Islanda. Il Vatnajökull è il quarto ghiacciaio al mondo dopo la calotta glaciale dell’Antartide, la calotta glaciale della Groenlandia ed il Campo de Hielo Sur in Patagonia

Sotto la sua cappa di ghiaccio si trovano diversi  vulcani attivi: non è incredibile?

L’Islanda è un paese che mi affascina molto e che prima o poi vorrei
visitare
perché mi incuriosisce molto. Già dal nome mi fa pensare a una
specie di terra magica
: se penso al ghiaccio e poi al fuoco che sono
due elementi diversi, opposti, che in teoria dovrebbero annullarsi a vicenda e invece convivono benissimo, non vedo l’ora di andare a vedere di persona.

Dell’Islanda parleremo ancora, perché c’è tanto da dire. Ne abbiamo già parlato qui. Buona lettura!

Articolo di Federico Valentini, 2A

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Il Carsismo: di che parliamo?

Il carsismo è un fenomeno che si rileva nelle zone in cui sono presenti rocce calcaree. Infatti le rocce calcaree sono formate prevalentemente da carbonato di calcio, un composto chimico solubile in acqua e che si erode facilmente. Questo fenomeno si verifica quando l’acqua, leggermente acida (unita ad anidride carbonica presente nell’aria), “aggredisce” le rocce calcaree e le modella sia in superficie che in profondità (come avviene per i pozzi naturali) creando forme spettacolari che attraggono molti turisti.

Il termine carsismo deriva dalla regione del Carso triestino, perché è proprio qui che sono iniziati gli studi di questo fenomeno, un altopiano che occupa una buona parte del territorio della Venezia Giulia e della Slovenia.

L’attività chimica dell’acqua genera doline, inghiottitoi, paesaggi bellissimi. L’acqua piovana corrode le rocce calcaree in superficie, creando delle fessure e penetrando in profondità. Poi a un certo punto incontra uno strato di roccia impermeabile e, non potendo più scendere in profondità, l’acqua continua comunque a scavare nelle rocce calcaree, creando, con il passare del tempo, vere e proprie grotte carsiche.

IL CARSISMO HA TANTE FORME

Ci sono diversi tipi di forme carsiche, sia in superficie che nel sottosuolo.
Vediamo quelle in superficie:

I KARREN: sono dei solchi creati dall’erosione dell’acqua piovana in grandi distese di roccia calcarea.

LE DOLINE: sono delle depressioni del terreno a forma di imbuto. In alcune doline ci può essere un inghiottitoio che fa passare l’acqua piovana per raccoglierla nel sottosuolo. Quando ci sono due o più doline insieme, formano un’uvala.

Ora passiamo a quelle nel sottosuolo:

Le più comuni sono le GROTTE: possono essere piccole e inesplorabili, oppure grandi, facilmente accessibili.

I POZZI e LE GALLERIE: i pozzi si sviluppano in verticale, mentre le gallerie in orizzontale.

E LE STALATTITI E LE STALAGMITI?

Queste due forme carsiche sono frutto di un accumulo di carbonato di calcio contenuto nelle acque che attraversano ed erodono il terreno. Le stalattiti si formano dall’alto verso il basso e possono impiegare molti anni per formarsi. Le stalagmiti si formano invece, dal pavimento verso l’alto, in quei punti in cui le gocce di acqua cadono e depositano sottili veli di carbonato di calcio. E pian piano salgono e salgono. Quando stalattiti e stalagmiti si fondono, danno vita alle forme più spettacolari e strane!

Attraverso le spaccature delle rocce, l’acqua arriva nella grotta goccia a goccia. Alcune gocce, prima di cadere, evaporano e parte del bicarbonato di calcio si trasforma in carbonato di calcio, che va proprio ad aderire al soffitto della grotta. Si formano così, nel corso degli anni, delle colonne pendenti dette stalattiti. Se la goccia cade sul pavimento, l’evaporazione termina al suolo e, in corrispondenza delle stalattiti, si formano delle colonne ascendenti dette stalagmiti. Se stalattiti e stalagmiti si uniscono, quando sono molto alte o molto lunghe, formano vere e proprie colonne che vanno dal pavimento al soffitto.

Il carsismo è un fenomeno molto diffuso in tutta Europa, quindi naturalmente anche in Italia. Vediamo le zone più importanti:

  • la Grotta Gigante, proprio sull’altopiano del Carso;
  • le Grotte di Frasassi, nelle Marche;
  • la Grotta del Vento, in provincia di Lucca;
  • le Grotte di Pastena, nel Lazio;
  • le Grotte di Castellana, in Puglia.

Ma soprattutto lo troviamo anche e soprattutto nell’area del Parco Sirente Velino, in Abruzzo. L’inghiottitoio di Terranera, chiamato Pozzo Caldaio, ne è un esempio, ma anche la zona di Rocca di Cambio e le bellissime e famose Grotte di Stiffe. Anche il fenomeno dell’erosione fluviale crea paesaggi spettacolari, come si vede nelle Gole di Aielli Celano, lunghe circa 5 km e strettissime, e con pareti alte più di cento metri. Questo vero e proprio canyon è scavato dal torrente La Foce.

Nelle grotte carsiche troviamo persino vita animale: ragni e anfibi, ma anche crostacei. Un animaletto molto particolare è il proteo, un anfibio privo della vista, che vive esclusivamente nelle grotte.

Articolo di Alice Lucchini, classe 2A

Articoli Recenti, Confini Immaginari, Razzismo

Un sognatore che non si è mai arreso


Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso. 

Il 18 luglio si celebra Nelson Mandela International day, l’anniversario istituito dall’ONU nel 2009 per celebrare uno degli uomini più importanti del 900. Mandela nasceva proprio il 18 luglio, del 1918: è stato attivista e politico e fu attivo in Sudafrica, lottando durante tutta la sua vita contro la violenza, la segregazione razziale e perché che i neri potessero godere degli stessi diritti dei bianchi.

Mandela fece dell’uguaglianza e della libertà i suoi principi basilari: nel 1944 entra nella politica diventando membro dell’ANC (African National Congress) e guidando per anni campagne pacifiche tese alla parità dei diritti e all’uguaglianza tra i popoli. Aveva 30 anni quando l’apartheid divenne Legge dello stato in Sudafrica, era il 1948 e lui soffriva intensamente a pensare a quel che stava succedendo. Nel 1962 venne arrestato con l’accusa di sabotaggio e fu scarcerato solo 27 anni dopo. Fu un momento tanto buio della storia sudafricana, ma nonostante lui sia costretto al carcere, la sua immagine fa breccia sempre di più nell’opinione pubblica. Nel 1994 però è diventato il primo presidente della Repubblica del Sudafrica eletto democraticamente. Quello che mi ha sempre colpito in lui è la sua statura morale di fronte all’ “apartheid”, che nella lingua africana ha il significato letterale di “separazione”, per indicare appunto la divisione tra bianchi e neri.

Questa politica di discriminazione razziale venne regolamentata in apposite leggi nelle quali si stabiliva una netta distinzione della popolazione in tre gruppi razziali principali: bianco, nero africano e “coloured”, cioè appartenente ad una razza mista. Le relazioni interrazziali in questo modo erano del tutto impossibili: esistevano luoghi da frequentare separatamente, mezzi pubblici riservati solo ai bianchi, spiagge a cui i neri non potevano accedere, etc. Per fortuna, però, proprio grazie a Mandela, il Sudafrica gettò le prime basi per la democrazia.

Le leggi dell’apartheid discriminavano l’accesso al lavoro in base all’appartenenza razziale, vietavano i matrimoni tra persone di razze diverse, istituivano veri e propri “ghetti” (chiamati bautustan) in cui veniva relegata la popolazione nera, che in questo modo era sottoposta ad un forte controllo da parte del Governo.


La vita di Mandela è un modello di forza e coraggio: per questo viene considerato un emblema per le generazioni di tutti i tempi. Nelson Mandela terminò i suoi giorni il 15 dicembre 2013 lasciando un mondo migliore di come lo aveva trovato.

Articolo di Pietro Catalli

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Viaggio tra i simboli giapponesi

Il Giappone mi ha molto affascinata nello studio della geografia di quest’anno, soprattutto per la sua cultura, le sue tradizioni e la sua gente. La cultura giapponese è piena di ritualità e di simboli: dai disegni sui kimono fino ai tatuaggi.

Guardate quali sono i simboli più diffusi in questo angolo bellissimo di mondo e il loro significato associato, cliccando sul PowerPoint qui di seguito.

Articolo e PowerPoint di Martina Coppola

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Rift Evolution


Il Sistema Di Rift Valleys Africane Secondo John Walter Gregory, 1920

Le rift valleys (sì, al plurale) sono delle grandi fratture della crosta terrestre all’interno delle masse continentali che si allargano e si allontanano pian piano, nel tempo, anticipando la formazione di un nuovo oceano tra di esse. In Africa, come mostra la cartina appena sopra, c’è un sistema complesso di rift valleys. Ma veniamo a noi. La Rift Valley, quella che tutti abbiamo sempre sentito nominare, è un’enorme frattura geologica che scorre lungo tutto il bordo orientale africano, dalla depressione della Dancalia fino al Sudafrica e continua fino alla Siria attraverso il Mar Rosso, lungo un asse che va dal mar Morto alla valle del fiume Giordano. Le crepe crostali si trovano in tutto il mondo, ma quella dell’Africa orientale è la più grande.  Questa rottura si è creata dalla separazione delle placche tettoniche africana e araba. La potremmo definire anche una spaccatura (nella crosta terrestre ovviamente) e dobbiamo sapere che si estende per circa 6000 km, che è larga da 30 a 100 km e che in alcuni punti raggiunge la profondità di 1200 metri.

Questo processo geologico è iniziato 35 milioni di anni fa e ha causato un forte cambiamento climatico e ambientale: la fine delle foreste rigogliose che coprivano quasi tutto il continente e la creazione, coi processi di orogenesi e la nascita di nuove catene montuose, di una barriera che si è opposta alla circolazione dell’aria umida proveniente dal mare che ha reso il clima più caldo e secco e l’ambiente più arido.

Il movimento che ha provocato la spaccatura 35 milioni di anni fa prosegue anche oggi, naturalmente, ed è destinato a separare il Corno d’Africa dal resto del continente. Tutta quest’area lungo la quale si snoda la Rift Valley è fortemente sismica e vulcanica. Sono infatti di origine vulcanica i monti Kilimangiaro e il Kenya, ma anche il monte Meru, l’Elgon e il vulcano Ol Doinyo Lengai, che è l’unico vulcano natrocarbonitico del mondo (cioè con presenza di carbonati). Si capisce subito che è un posto incredibile! Nella parte meridionale del Mar Rosso, poi, la Rift Valley si separa in due direzioni diverse, verso est e verso sud. La zona della diramazione è chiamata triangolo di Afar o depressione della Dancalia: siamo in Etiopia e questo è un posto che vi lascerà senza fiato. Vi facciamo vedere una foto che vale più di mille parole e che descrive perfettamente la spettacolarità di questo posto:

Dancalia

La Rift Valley, inoltre, è stata una grande fonte di scoperte paleoantropologiche: i sedimenti della valle, provenienti dall’erosione degli altopiani circostanti, crearono un ambiente favorevole alla preservazione dei resti umani. Sono infatti state trovate numerose ossa di ominidi, antenati degli umani, tra cui anche quelle della famosa “Lucy”, uno scheletro quasi completo di australopiteco.
Tutto il sistema di rift valleys africane rappresenta un ambiente unico per capire bene e studiare l’origine e l’evoluzione dell’uomo: questo posto è infatti considerato la culla dell’umanità, ossia il luogo in cui si è evoluta e diversificata la nostra specie negli ultimi milioni di anni.

Rift Evolution, allora, come dice il titolo, perché ci sono posti sulla terra che più di altri ci insegnano che è tutto è in evoluzione insieme a noi. E che dalle spaccature entra la luce, e l’evoluzione cos’è, se non luce?


There is a crack in everything, that’s how the light gets in. (L. Cohen)
Articolo di Michele Altieri, 3A

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Geografia e Storie d’amore: Asia

La mitologia e il folklore dei paesi asiatici ci mostrano e ci raccontano tante storie romantiche che hanno per protagonisti un uomo e una donna legati da un amore indissolubile.

Non sempre, purtroppo, c’è il lieto fine, ma in compenso abbondano stelle, principi, promesse eterne e altri elementi che creano un’atmosfera da sogno.

Ve ne ho scelte alcune che mi sono piaciute e spero davvero che vi faranno compagnia in zona rossa o arancione. Buona lettura!

San Valentino in Cina: Il bovaro e la tessitrice

Il bovaro Niu Lang e la tessitrice Zhi Nu sono innamorati ma si possono incontrare una sola volta all’anno. Questa data fatidica cade il settimo giorno del settimo mese del calendario lunare (varia ogni anno ma è intorno al 7 luglio) ed è una ricorrenza che viene festeggiata in Cina come Qixi Festival, l’equivalente del nostro San Valentino. Gli innamorati trascorrono insieme momenti romantici e si scambiano doni.

Ma chi sono i protagonisti di questa popolare leggenda? Niu Lang è un orfano che possiede solo un vecchio bue. Zhi Nu è la figlia dell’imperatore celeste: la più bella e la più abile tessitrice tra le sette figlie dell’imperatore. Niu Lang e Zhi Nu si innamorano perdutamente, si sposano e hanno anche due figli ma il loro amore fa arrabbiare il padre di lei, che richiama immediatamente al cielo la figlia. I due innamorati vengono divisi e non posso che guardarsi da lontano e piangere. Il dolore provato da due amanti, prova tangibile della forza del loro amore, commuove gli dei celesti che decidono di concedere loro un giorno all’anno per ritrovarsi. Nel giorno stabilito dagli dei uno stormo di gazze forma un ponte su un fiume che li tiene separati per permettere ai due innamorati di incontrarsi. Nella mitologia cinese il fiume che divide i due amanti è la Via Lattea, mentre le due stelle luminose ai lati opposti della costellazione sono Niu Lang (Altair), e Zhi Nü (Vega). Le due stelle più piccole che si allineano con Altair sono i figli dei due innamorati.

Ancora oggi le due stelle più grandi che brillano ai due lati del fiume, la stella Altair e Vega, ovvero Niu Lang e Zhi Nu, si possono ammirare nel cielo notturno durante l’autunno, e vicino a loro due stelle più piccole, i due figli nati dal loro amore.

Rama e Sita

Un’altra bellissima storia d’amore asiatica è quella di Rama e Sita, che viene simbolicamente festeggiata durante il Diwali, il festival delle luci della tradizione indiana. Rama e Sita sono marito e moglie e il loro era un matrimonio felice. Il demone Ravana però, che è un demone, si invaghisce di Sita e un giorno la rapisce per averla come sposa. Sita rompe la sua collana e lancia uno a uno i gioielli e le sue perle per lasciare una scia che indichi all’amato Rama la via da seguire per ritrovarla. Rama, principe guerriero coraggioso e innamorato, si mette sulle tracce della sua bella. Lungo il cammino incontra il re delle scimmie Hanuman che diventa suo amico e decide di aiutarlo: invoca l’aiuto di tutte le scimmie e gli orsi del mondo, che accolgono l’invito. Grazie a loro, che si uniscono a formare un ponte, Rama raggiunge l’isola dove Sita viene tenuta prigioniera. Ha inizio una battaglia sanguinosa che termina con l’uccisione del demone Ravana. Rama e Sita riprendono il lungo viaggio di ritorno verso casa e il loro cammino viene guidato da lampade ad olio accese dagli abitanti della città di Ayodhya in loro onore, per indicargli la strada del ritorno.

Ogni anno nel giorno del Diwali viene ricordata la bella storia di Rama e Sita e vengono accese lampade per ricordare che la luce trionfa sul buio, ovvero il bene vince sul male.

Pandagian e le stelle: amore in Indonesia

Meno conosciuta in Occidente è questa leggenda indonesiana che ho trovato molto poetica e ve la voglio raccontare.

Pandagian è una fanciulla che vive in un villaggio dell’Indonesia. Ogni notte va in una radura nei pressi del mare a danzare per ore. La sua danza non ha eguali nel mondo per leggiadria e mentre danza la fanciulla dimentica ogni cosa. Alle prime luci del mattino Pandagian torna nella capanna dove vive con la famiglia. Per entrare nella capanna deve salire una scala di legno. Un giorno il padre, adirato dalle continue uscite notturne della figlia, le impone di smettere di danzare. La ragazza non rispetta l’ordine del padre, ma al ritorno dalla consueta danza notturna l’attende una sorpresa: la scala è stata tolta, impedendole di entrare nella capanna. Pandagian implora il padre di farla entrare, ma non c’è modo di convincere l’uomo a cambiare idea. Rimane a dormire per terra. Guardando in alto il cielo le sembra di scorgere il principe della notte Ramasian che guida il suo carro tra le stelle. “Ah, se potessi danzare tra le stelle!”, sospira la fanciulla. Come d’incanto, una sedia d’oro sostenuta da una catena d’argento, le appare. Appena Pandagian si siede, la sedia magica si alza in volo. All’altezza della capanna Pandagian si ferma a salutare la famiglia. Il padre, compreso l’errore commesso, le chiede di restare ma la ragazza ha ormai preso la sua decisione. Ramasian e Pandagian si sposano e la fanciulla è libera di danzare tra le stelle. La vita dei due innamorati scorre felice, fino a quando Pandagian ha la curiosità di recarsi al fiume e danzare tra le acque della cascata. Il principe del sole, l’invidioso fratello di Ramasian, coglie l’occasione per trafiggere la fanciulla con un raggio infuocato. Sono le stelle a dare l’annuncio della sua morte a Ramasian. Distrutto dal dolore, il principe rimane accanto al corpo della sposa per giorni, dopodiché decide di trasformarlo in infinite stelle lucenti. Le getta lontano, dando vita a nuove costellazioni. L’ultima stella che gli rimane in mano gli ricorda il volto della donna amata. Come ultimo sommo gesto d’amore, spezza la stella in mille frammenti che diventano animaletti luccicosi e li invia sulla Terra affinché il padre di Pandagian possa riavere con sé la figlia amata.

Le lucciole inviate da Ramasian sulla Terra danno il via ad una danza leggiadra e i genitori di Pandagian riconoscono in loro il messaggio d’amore della figlia, che vuole salutarli e consolarli.

Il filo rosso del destino

L’espressione “legati da un filo rosso” la conoscete sicuramente. Vi dice qualcosa? Il filo rosso del destino (o dell’amore) è una leggenda molto diffusa in Giappone, sebbene originariamente sia cinese. Secondo questa storia, ognuno di noi fin dalla nascita porta attaccato al dito mignolo della mano sinistra un’invisibile filo rosso che lo lega alla persona a cui è destinato. Il filo rosso dell’amore è indistruttibile: le due persone legate sono inevitabilmente destinate a incontrarsi e a innamorarsi.

Questa storia ci dice che per ognuno di noi esiste qualcuno che ci aspetta o che sta lottando per arrivare a noi.

Articolo di Alessia Di Chello, 3A