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Diversità e disabilità

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Un delicatissimo fiore per dirvi BUON ANNO

Violenza: una parola che non riesco nemmeno ad ascoltare, per quanto fa male. Sento in televisione parlare di violenza subita da donne che vengono spesso uccise dai loro mariti, fidanzati o compagni, cioè da persone che dovrebbero amarle, proteggerle e difenderle, o forse, ancora più giustamente, semplicemente rispettarle, in quanto esseri umani. Ho letto che molte di queste violenze si consumano tra le mura di casa, il luogo in cui ognuno di noi si dovrebbe sentire protetto. Questi atti hanno delle ripercussioni anche a livello mentale, poiché spesso le donne che le subiscono arrivano addirittura a giustificare gli autori, pensando che questi gesti non si verificheranno più e invece no, si ripeteranno eccome. Queste donne diventano tristemente deboli, accettando uno schiaffo al posto di una carezza, un pugno invece di un abbraccio, un calcio anziché un bacio.

Attenzione però, perché anche le carezze, l’abbraccio o il bacio non desiderato sono una forma di violenza. Spesso infatti un amore non corrisposto porta l’uomo a vendicarsi verso una donna. A volte penso più per ignoranza: l’amore non può andare a comando. O, ancora, ho sentito giustificare violenze fatte a ragazze perché l’abbigliamento era provocante e quindi invogliava l’uomo a essere l’artefice di questi atti. Sono ovviamente contraria a questo pensiero! Una minigonna o una camicia scollata non potranno mai essere il pretesto di questi vergognosi atti di violenza.

Esiste poi un’altra forma di violenza, quella psicologica, forse la più subdola, tanto che molti la ritengono erroneamente meno aggressiva, meno grave perché forse non lascia lividi ma, essendo provocata delle parole, va a colpire, in modo nascosto, l’autostima. E fa male quanto un pugno, forse anche di più. Esse vanno aiutate; non possiamo rimanere in silenzio davanti a questi orrori! Spesso si subisce perché non si ha la forza di reagire, quindi ognuno di noi ha il dovere morale di stare accanto a queste persone sofferenti e convincerle a denunciare questi abusi. Ed abbiamo il dovere di educare le persone al rispetto, al cambiamento: maschi o femmine che siano!

Il 25 novembre si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ma questo è un fenomeno da combattere tutti i giorni, a scuola ad esempio, oppure sensibilizzando l’opinione pubblica, o attraverso l’operato di centri antiviolenza che possono collaborare con le istituzioni. L’informazione può passare anche attraverso la televisione o canali social più utilizzati dalle nuove generazioni.

Penso che l’unione faccia la forza anche in questi casi, tutti insieme possiamo aiutare le donne vittime di questi atroci soprusi a uscire dal tunnel in cui si trovano e
regalare loro una nuova vita. Ogni vita umana è un delicatissimo fiore che merita un’altra primavera dopo l’inverno.

Vogliamo cominciare così il nuovo anno, con questo articolo contro la violenza sulle donne, ma contro ogni violenza in generale. La cultura è la base da cui partire per sconfiggere ogni violenza. Educare alla conoscenza e all’empatia, quindi, perché le cose cambino davvero. Con lo studio per conoscere e indagare i fatti, e con l’empatia, perché se non ci mettiamo nei panni dell’altro il nostro valore di essere umani non è molto alto.
Noi ci crediamo, e lo mettiamo in pratica giorno dopo giorno nel nostro piccolo.

Buon anno.

Articolo di Irene Buzzelli

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No. Non è un omicidio passionale

Ancora oggi i femminicidi vengono codificati dalla cronaca come “omicidio passionale”, “d’amore”, “momento di gelosia”, quasi si sentisse il bisogno di dare una giustificazione a qualcosa che è in realtà mostruoso. Assurdo, tutto questo è assurdo, perché la morte e la violenza con l’amore non c’entrano niente.
Ai femminicidi, poi, si aggiungono violenze quotidiane e varie forme di abuso che, per secoli, sono stati giustificati o nascosti. Basta tornare indietro al Medioevo, quando una donna non poteva litigare con il marito che subito veniva maltrattata e condannata all’immersione in acqua con lo sgabello. Non dimentichiamo poi la sottomissione e la violenza subita da migliaia di mogli e figlie, nel tempo, costrette a vivere nel silenzio per mantenere il buon nome della famiglia. Si tratta di un bagaglio e di un argomento pesante, che solo ora viene aperto e reso pubblico risvegliando la sensibilità di molti che che semplicemente non volevano né vedere né sentire.

Tutto ciò secondo me può avvenire per diverse ragioni, ma due sono forse più lampanti. La prima è il fatto che per millenni la donna è sempre stata considerata inferiore all’uomo, basti pensare al diritto di voto che è arrivato dopo, per dirne una. In secondo luogo la donna viene spesso considerata più debole rispetto al compagno, dunque è molto facile incutere timore, sottomettere e alzare le mani. Tornando allora ai giorni nostri, ad emancipazione femminile realizzata quasi in pieno, almeno nella nostra parte di mondo, sembra surreale che ci siano donne sottomesse e maltrattate dai proprio compagni, le quali ogni giorno subiscono violenze non solo fisiche ma anche psicologiche e verbali. Eppure ci sono, e sono loro stesse a non denunciare, a sopportare, a sperare che un giorno la situazione possa cambiare in meglio e che l’uomo di cui sono innamorate cambi e si penta. Difficile che qualcuno cambi, uomo o donna che sia.
Nella maggior parte dei casi questo infatti non accade e l’attesa di un miglioramento si trasforma purtroppo nell’attesa della morte. Nessuna di queste donne forse pensa che il proprio fidanzato o marito possa arrivare a tanto però purtroppo succede. Per questo credo che sia fondamentale avere il coraggio di parlare, di farsi aiutare e denunciare: confidarsi con qualcuno potrebbe davvero essere il primo passo verso la libertà, la riconquista della propria dignità e soprattutto è il primo passo verso la salvezza.


La vita è troppo preziosa per trascorrerla accanto a qualcuno che non apprezza, che calpesta la dignità e schiaccia la personalità sfaccettata e bellissima di una donna.

Articolo di Angelica Ianiro

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Scappare sempre dagli stessi proiettili

Violenza sulle donne: ne sentiamo parlare spesso al telegiornale o lo leggiamo scritto su una rivista. Sappiamo più o meno tutti di cosa si tratta, ma riusciamo veramente a comprenderne la gravità? Anche solo nei singoli termini.
Prendiamo la parola violenza, analizziamola meglio.
Innanzi tutto potrei parlare per ore solo di essa, ma cercherò di essere breve. Per violenza si intende un atto volontario, esercitato da un soggetto su un altro, in modo da farlo agire contro la sua volontà. L’abuso della forza può essere non solo fisico, ma anche verbale e psicologico. Questo però è quello che ci dice internet. E noi siamo in grado di dare una nostra considerazione riguardo la violenza? Di rintracciarla nella vita di tutti i giorni? Io penso proprio di si. Anche andando a parlare di donne. Milioni di donne subiscono violenze domestiche, sessuali, psicologiche, verbali, vengono perseguitate, aggredite, picchiate, sfregiate. E questo perché, perché sono donne?, Solo perché vengono considerate deboli e impotenti agli occhi di alcuni uomini? Beh, questa per me è una spiegazione assurda.
Un uomo non può permettersi di toccare una donna, a meno che non sia lei a volerlo.
Molti dicono di amare la propria donna, poi prendi il telecomando, premi il tasto rosso e accendi la televisione. Ed è proprio in quel momento che senti la deposizione di quello stesso uomo che dice di averla uccisa, non ci interessa esattamente in che modo, ma lui l’ha uccisa. Le ha tolto la vita. E lui, lì seduto su una sedia davanti a dei poliziotti, racconta di come ha approfittato di lei, senza rimpianti, specificando ogni particolare perché ormai era tutto finito, eppure lui è ancora vivo che godeva ancora della gioia che è la vita, sebbene in carcere, ma comunque avrebbe potuto ancora vivere. Quella donna invece no. Per lei era tutto finito. Questo è il femminicidio.
Secondo i dati Istat circa 7 milioni di donne ogni giorno milioni vengono uccise e subiscono violenze. C’è però un’ulteriore problema. La maggior parte di loro non denuncia le violenze che subisce. Questo è assolutamente sbagliato. Non si può rimanere con una persona che ti picchia perché magari torna a casa ubriaco e tu non dici nulla perché lo ami. Questo non è amore, l’amore è qualcosa di completamente diverso da questo. Ma sia per un uomo che per una donna. E il frutto dell’amore non è mai la violenza. Forse è frutto della possessione, dell’ossessione, di qualcosa di molto lontano dall’amore, comunque. Perciò bisogna insegnare agli uomini a comportarsi in un certo modo, ma bisogna anche far capire alle donne che restare intrappolate in situazioni del genere può creare traumi dolorosissimi e che devono parlare e denunciare, pure se fa male. Il silenzio. Grande parola. A volte ci salva, ma in contesti come questi bisogna romperlo senza troppi ripensamenti. Le ragazze non possono, anzi meglio dire “non dovrebbero” avere paura di uscire di casa con una minigonna, oppure essere obbligate a portare con sé uno spray al peperoncino per uscire più tranquille la sera, anche nella loro piccola e tranquilla città. La società di oggi ci dice che siamo noi ragazze a non dover vestirci in un certo modo per non provocare l’uomo, invece di dire che l’uomo deve imparare a controllarsi. Tutto ciò deve cambiare. Non si può andare avanti così. Esiste la giornata dedicata alla violenza sulle donne, esiste la giornata delle donne. Non basta più onorare le donne vittime di violenze solo in questi giorni, deve essere una cosa normale, deve diventare quotidianità.

Oltre alle varie manifestazioni che già ci sono in giro per il mondo, ognuno di noi potrebbe organizzare qualcosa di bello contro la violenza sulle donne. Per sensibilizzare chi è accanto a noi. A me piacerebbe manifestare nel mio paese, con tutte le donne, le ragazze e le bambine vestite di rosso, portando dei cartelloni con frasi pensate da noi e poi alla fine del percorso segnato ci saranno ad aspettare uomini, ragazzi e bambini con regali per ognuna di noi. Sembrerà la solita protesta contro la violenza sulle donne, ma questa volta ci sarebbe la partecipazione anche degli uomini in segno di cambiamento. Spero vivamente che succeda, spero che le ragazze possano uscire tranquille, spero che le donne non siano mai più violentate, nel corpo e nell’anima. Spero che riusciamo davvero ad imparare qualcosa dai nostri errori sennò ci ritroveremo sempre a dover scappare dagli stessi proiettili. Spero.

Articolo di Arianna Gasbarro, 3C

Confini Immaginari, Diversità e disabilità, Frontiere e confini, Razzismo

IL RAZZISMO

A proposito di confini immaginari, frontiere e limiti imposti della nostra mente che spesso ci hanno fatto perdere possibilità importanti di incontro con l’altro, parliamo di razzismo.

Un salto nel passato: il razzismo affonda le sue radici in tempi antichi. Nel Medioevo, per esempio, alcuni sovrani cristiani vollero impadronirsi delle fortune dei banchieri ebrei; più avanti, intorno al 1500, Spagna e Portogallo portarono schiavi africani nelle loro colonie per impiegarli nei lavori più faticosi senza paga, o quando il 31 marzo 1492 dopo l’unificazione delle corone spagnole, il re e la regina di Spagna firmano la legge per espellere tutti gli uomini di religione ebrea dal territorio spagnolo. Poi l’ideologia razziale acquistò una grande importanza politica tra il 1800 e il 1900, quando cominciarono a diffondersi le teorie sulla superiorità della razza ariana. Il razzismo si diffuse molto, come potete immaginare, anche durante il periodo del colonialismo, quando alcune potenze europee svilupparono una forte idea di discriminazione e disprezzo nei confronti degli indigeni in America, per esempio, o con le persone di colore in Africa. Prima di ciò, il concetto di razzismo era legato “semplicemente” al fatto che un popolo era diverso da un altro popolo. Quando nel 1912 l’Italia attaccò la Libia fece emergere un diffuso razzismo anche nella convinzione della superiorità dei bianchi, e della conseguente inferiorità delle persone di colore. Da qui nascerà la convinzione del diritto/dovere dei bianchi di portare la “civilizzazione” verso popoli ritenuti inferiori.
Tra il 1870 e il 1910 in Europa nacque la teoria razzista che accentuò un’elevata violenza contro il diverso. Il razzismo affermò che, come in natura ci sono animali più nobili e forti di altri, questo era uguale per gli uomini.

Eppure, nelle epoche più lontane, si aveva un giudizio discriminatorio che più che alle razze era legato alla società: il patrizio (nobile) era superiore al plebeo (povero) che, se libero, era superiore allo schiavo. La discriminazione passa allora anche da altri fattori, come la società o il sesso. Non si deve dimenticare che molte società di oggi sono sessiste e considerano l’uomo più forte, più intelligente, per il semplice fatto di essere di sesso maschile, e le donne vengono considerate biologicamente inferiori, solo perché tali.
La mentalità premoderna non avrebbe mai considerato uno schiavo bianco superiore ad un principe arabo di pelle più scura nel campo sociale, ma lo avrebbe fatto in ambito culturale e religioso. Però se il nobile arabo si fosse convertito al cristianesimo esso sarebbe diventato superiore allo schiavo da tutti i punti di vista. Questo fa riemergere l’ideologia di superiorità di casta. Ma fa emergere allo stesso tempo una gran confusione. Sembra che queste teorie discriminatorie facciano acqua da tutte le parti. Diciamo che non ci hanno convinti… allora abbiamo cercato di capire di più.

che confusione!

Il razzismo scientifico: si è sentito parlare, in certi momenti (tristi momenti) storici, di razzismo scientifico, che è definito come lo studio che appoggia e giustifica le ideologie razziali, diventando fondamento scientifico alla cosiddetta “scienza delle razze umane”. Il razzismo scientifico usa l’antropologia, l’antropometria, la craniometria e altre pseudo-discipline per classificare le razze umane distinguendole fisicamente e separandole, così da poter affermare che una sia superiore all’altra. Il razzismo scientifico si è diffuso dal XVII secolo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Caspita, questo ci fa riflettere: la guerra mondiale è finita poco tempo fa…possibile che l’uomo abbia ritenuto vere queste teorie? Nel XX secolo, però, per fortuna, il razzismo di base scientifica fu criticato e giudicato non corretto, sempre più screditato a livello scientifico ma ampliamente utilizzato per la consolidare l’ideologia razzista in tutto il mondo, per fare propaganda. Con la fine del secondo conflitto mondiale il razzismo scientifico fu formalmente denunciato in una dichiarazione dell’Unesco del 1950 che appoggia l’antirazzismo. E, poiché la genetica evolutiva si è sviluppata in maniera tale che le differenze genetiche umane non sono più considerate esistenti, in materia di razza, noi oggi non abbiamo più il concetto di razza.

Il razzismo in Europa
In Germania: la conseguenza del razzismo che si diffuse, prima in Germania e poi in tutta Europa, fu l’Olocausto. Purtroppo non serve spiegare di cosa si tratta, si sa molto bene. Quello che si sa meno è che si tratta di razzismo non solo contro gli ebrei, sicuramente in maniera più massiccia, ma anche verso rom, extra comunitari, disabili e gente di colore.
In Italia: l’Italia nel periodo fascista aveva praticato un’ideologia razzista per compiacere la Germania, il suo maggior alleato. Purtroppo in Italia furono emanate delle leggi razziali, le leggi razziali fasciste, rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica, fra il 1938 e il 1945, che sono un insieme di provvedimenti applicati inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana.
In Polonia: durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo la conquista della Polonia, i nazisti avevano imposto un forte razzismo e fatto dilagare un sentimento di disprezzo prima contro gli ebrei e poi contro polacchi. Anche dopo la guerra il razzismo in Polonia è stato forte e il nazismo ha corrotto la cittadinanza polacca fino a far credere loro che la fortuna sarebbe arrivata tramite Hitler.

In Italia accadeva questo.

Il razzismo in Africa
In Sudafrica e Namibia: l’Apartheid è la politica di segregazione razziale da parte di etnie bianche nel Sudafrica che è stata in vigore dal secondo dopoguerra fino al 1994. L’Apartheid è stato dichiarato crimine internazionale contro l’umanità da una convenzione delle Nazioni Unite entrata in vigore nel 1976. Recentemente è stato inserito nella lista dei crimini contro l’umanità perseguibili dalla Corte Penale Internazionale.
In Ruanda: laquestione del razzismo qui si riscontra principalmente nel genocidio del 1994, uno dei più terribili massacri del XX secolo. La maggior parte delle vittime era di etnia Tutsi, una minoranza rispetto agli Hutu cioè il gruppo etnico maggiore a qui facevano capo i principali gruppi responsabili dell’omicidio. Nel massacro non furono risparmiati nemmeno gli Hutu moderati. Dal punto di vista genetico i due gruppi etnici sono estremamente affini ed esattamente come in tutti i fenomeni razzisti, le differenze sono principalmente sociali e culturali.

Il razzismo in Asia
In Giappone
: qui i casi di discriminazione razziale riguardano quasi esclusivamente le minoranze etniche, in particolar modo le popolazioni Ainu, Burakumin, Ryukyuani, cioè i discendenti degli immigrati dai paesi vicini, e dei nuovi immigrati giunti soprattutto da Brasile, Filippine e Vietnam. Questo è dovuto principalmente dalla convinzione della gente nipponica che solo persone del loro stesso “tipo” possono capire la solo cultura. La costituzione giapponese proclama l’uguaglianza, davanti alla legge, di tutti i cittadini da ogni punto di vista, ma nonostante questo non prevede reali provvedimenti penali contro chi compie discriminazioni legate a queste questioni.

Il razzismo in America
Negli USA
: il razzismo su base pseudo-scientifica in America fu rafforzato dalle guerre indiane. Per giustificare il genocidio compiuto sugli indigeni è stato detto di tutto. Tutto senza un vero fondamento, però. E alla fine la conquista delle Americhe portò allo sterminio di milioni di indiani: si trttò del genocidio più numeroso della storia. Lo sterminio indiano fu ripreso da Hitler come esempio per la soluzione finale, fin dalle primissime edizioni del Mein Kampf (la mia battaglia), manuale d’ideologia razzista e nazionalsocialista. Andiamo a vedere la situazione dell’America coloniale prima che la schiavitù fosse giustificata e praticata su ideologia razziale: prima, dunque, schiavi sia neri che bianchi lavoravano insieme, con la differenza però che uno schiavo bianco dopo un certo periodo di tempo recuperava la propria libertà mentre questo non era previsto per gli schiavi neri. Dopo una serie di rivolte si arrivò ad usare solo schiavi neri. Così la razza e la condizione sociale arrivarono quasi a coincidere e ancora oggi negli Usa per certi verso questo resta un concetto controverso. Dopo l’Indipendenza, la legge americana garantiva la cittadinanza a tutti i cittadini bianchi liberi, cioè a tutti coloro che avevano origine anglosassone.Intorno agli anni ’40 del XIX, quando la popolazione americana divenne sempre più variegata, e pure sempre più colorata viste le immigrazioni in questo territorio da ogni parte del mondo, si dovette quindi stabilire chi fossero i “bianchi” attraverso una gerarchia di diverse razze al cui vertice si trovavano gli anglosassoni e i popoli nordici.

Il razzismo in Australia
In Australia la popolazione aborigena è stata sterminata dalla colonizzazione che, attraverso numerosi omicidi, ha ridotto la popolazione aborigena di circa il 90% tra il XIX e il XX secolo. Sono numeri stratosferici!

Ci viene da riflettere dunque:basi scientifiche a giustificare il razzismo non ce ne sono, pretesti culturali invece sì.
Ma questi signori che hanno praticato il razzismo e lo praticano ancora oggi lo sanno che un uomo ha la pelle nera se abita nelle zone geograficamente attraversate dall’equatore? Perché è caldo, i raggi del sole sono perpendicolari qui e rendono l’ambiente torrido e la pelle dell’uomo deve essere preparata, scusa e forte, per sopravvivere. Si tratta di pigmentazione della pelle in base al punto del globo in cui l’uomo vive. Quindi è semplice: l’uomo si adatta, come un qualsiasi altro essere vivente, al bioma in cui vive. I popoli di carnagione chiara allora abiteranno al Nord. Tipo gli Scandinavi. O anche i cinesi e giapponesi. Questi ultimi, oltre a essere chiari, abitando su altipiani, e quindi ad altezze elevate, hanno sviluppato gli occhi a mandorla per far sì che i raggi solari e il vento forte potessero dare eccessivo fastidio… Anche la forma del naso è una questione di adattamento: coloro che vivono in luoghi caldi e umidi tendono ad avere le narici più larghe rispetto a quelli che vivono in ambienti freddi. Le narici infatti regolano la temperatura e l’umidità dell’aria inalata. Insomma ci sono delle caratteristiche che sono legate all’ambiente e al clima. E poi ci sono gli incroci, le contaminazioni del mondo moderno: pelle di mille sfumature, uomini e donne bellissime che nascono dagli incontri di popoli e che ci fanno credere in un mondo migliore. Un mondo possibile.

Articolo di Davide Fantone ed Èlia Buzzelli, 3°B, Castel di Sangro.

Un gruppo di Boscimani
Ebreo al Muro del Pianto
Danzatrice balinese
Diversità e disabilità

Il valore della diversità come opportunità di crescita

Come affermato dalle leggi della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, gli uomini sono tutti uguali, cioè hanno tutti gli stessi diritti, il diritto alla vita, alla salute, al rispetto, alla libertà di realizzarsi secondo i loro desideri, il diritto di esprimere le loro opinioni, di scegliere la loro religione. Essere uguali quindi, significa avere gli stessi diritti. Non significa però assomigliarsi, pensare, parlare, vestirsi, comportarsi tutti nello stesso modo, che sarebbe alquanto triste. La diversità è uno dei valori fondamentali del nostro secolo.

È colore, cultura, ricchezza, scambio, crescita, fa parte della storia di ogni uomo.“Diverso” può essere considerato lo straniero, il quale si differenzia da noi dal colore della pelle, dalla lingua parlata, dalle usanze e dai costumi.“Diverso” può essere colui che ha una mentalità dissimile dalla nostra, gusti visibilmente differenti nel modo di vestirsi e nel modo di fare le cose nella vita di tutti i giorni.“Diverso” può essere considerata anche la persona che si differenzia in modo radicale attraverso il proprio reddito, la cosiddetta divisione in classi sociali. Io sono diverso da te che stai leggendo, non ho il tuo stesso naso, la tua stessa bocca, i tuoi stessi occhi e neanche percepisco il mondo come lo percepisci tu. Se ci pensiamo bene siamo tutti diversi, sette miliardi di persone in questo pazzo mondo e su questi sette miliardi di persone, non ce n’è una uguale. Ognuno di noi ha la propria lingua, i propri costumi e il proprio colore della pelle e penso che non esista cosa più bella al mondo che cercare di condividere tutto ciò. Ciò che ci accomuna è proprio il fatto che siamo tutti diversi l’uno dall’altro e che facciamo parte di un’unica grande famiglia, quella degli esseri umani. Ma perché la diversità appare allora una minaccia, una barriera che si oppone tra le persone? Perché tutto quello che riteniamo “diverso” da noi incute paura, timore? Perché non possiamo essere aperti alla conoscenza? Perché ancora al giorno d’oggi, sono considerati “diversi” e quindi esclusi ed emarginati dalla società gli immigrati, gli omosessuali, i matti, i portatori di handicap, i perdenti in genere, e addirittura siamo arrivati al paradosso che si considera diverso in quanto “sfigato” chi non imbroglia, chi non si sballa, chi non veste alla moda, chi non frequenta il giro giusto? Se riflettiamo bene appare logico che, se gli altri sono diversi ai nostri occhi, anche noi saremo diversi agli occhi degli altri. E allora come si fa a stabilire chi è normale e chi è diverso?

Dipende dal punto di vista. Tutta la storia della vita sulla Terra ci insegna che la «diversità» è un fattore positivo. La ricchezza della vita, infatti, è dovuta alla sua diversità: diversità di enzimi, di cellule, di piante, di organismi, di animali. Anche per la storia delle idee è stato così. La diversità delle culture, delle filosofie, dei modelli, delle strategie e delle invenzioni ha permesso la nascita e lo sviluppo delle varie civiltà. Non dimentichiamo che l’Impero romano, che ha dominato per 500 anni sul Mediterraneo e buona parte dell’Europa continentale, doveva alla diversità la sua forza. Era in grado di occupare paesi lontani e far sì che i loro abitanti servissero come soldati per difendere i confini. Un altro esempio è quello degli Stati Uniti, fatti grandi da ondate migratorie provenienti da tutti i paesi del mondo: Francis Ford Coppola, uno dei più grandi registi nel panorama mondiale è di origine italiana; uno dei fondatori di Facebook, Zuckerberg, discende da immigrati ebrei e così via. Io ritengo che la diversità sia una risorsa insostituibile. Portare sul tavolo esperienze differenti, formazioni diverse aiuta a cambiare in meglio la percezione delle idee. Ognuno di noi ha un proprio modo di vedere le cose, che è influenzato dallo stile di vita, dall’ambiente familiare, dall’ambiente culturale nel quale ci si forma.

Quando due differenti visioni del mondo entrano in gioco, si scopre che i modi di pensare propri spesso sono limitativi e che un’apertura mentale porta a soluzioni concrete. Si pensi al più grande progetto realizzato dagli uomini: il viaggio spaziale sulla Luna, reso possibile solo grazie al concorso di menti provenienti da diversi paesi.
In conclusione, la diversità, secondo me, non va vista come un problema, ma come un’opportunità. Occorre quindi aprirsi, ospitare la diversità, accoglierla come metro di giudizio e modo di pensare. Occorre capire che il bello è proprio poter confrontarsi con persone totalmente diverse da noi per poter apprendere, imparare tante cose nuove e ampliare le proprie conoscenze.

Tu non sei come me, tu sei diverso
Ma non sentirti perso
Anch’io sono diverso, siamo in due
Se metto le mani con le tue
Certe cose so fare io, e altre tu
E insieme sappiamo fare anche di più
Tu non sei come me, son fortunato
Davvero ti son grato
Perché non siamo uguali
Vuol dire che tutt’e due siamo speciali.
(Bruno Tognolini)

Giulia Romano

Confini Immaginari, Diversità e disabilità

Diversi da chi, diversi da cosa?

Cosa significa essere diversi? Diversità è il contrario di normalità? Perché la diversità spesso è un fattore che determina discriminazione? Essere normali significa doversi omologare alla società in cui si vive?
Io sono una ragazza di tredici anni che cerca di trovare il senso a tante cose, di capire la società che mi circonda anche se a volte è difficile e quindi, magari, mi ritrovo a giustificare dei comportamenti che a mio avviso sembrano inaccettabili. Mi chiedo: come si può pensare che alcune persone valgano più di altre? In base a cosa si attribuisce il valore a un essere umano? In base al colore della pelle? In base al sesso? Al suo livello di ricchezza o al luogo in cui è nato? In base al fatto che è nato sano?

La storia ci insegna che le discriminazioni hanno portato alle più grandi catastrofi.
Il nazismo discriminava gli ebrei, gli zingari, i disabili e riteneva che alcuni popoli fossero superiori ad altri. Si è dovuto “abbatterlo” con una guerra che ha portato alla morte di milioni di civili e alla distruzione di interi paesi. Anche in paesi come gli Stati Uniti e il Sud Africa tante persone, soprattutto neri ed immigrati, sono stati costretti ad opporsi ad un sistema che avrebbe voluto negargli i diritti più elementari, come ad esempio l’istruzione o il voto.

E oggi? In Europa si sta verificando una situazione secondo me preoccupante perché, a fronte di un flusso migratorio sempre più consistente, dovuto ad una serie di conflitti tra cui emblematico è quello siriano, centinaia di migliaia di persone cercano di raggiungere il nostro continente per sfuggire alle guerre e garantire un futuro più sereno ai propri figli. Queste persone arrivano da noi su dei barconi o dopo un lungo cammino, affrontano pericoli e rischiano di morire durante il tragitto, tuttavia quando arrivano alla loro meta non sempre trovano persone disposte ad accoglierle ma barriere, muri, porte e porti chiusi. Sento dire da molti che in passato siamo stati troppo generosi, ma io guardando ciò che succede oggi, come cittadina italiana ed europea onestamente provo un po’ di vergogna. Penso anche alla diversità – o meglio disparità – tra i sessi che, ancora adesso, in molti Paesi, porta gli uomini a ritenersi superiori alle donne.
Proprio per questo, finalmente un po’ ovunque nel mondo, si stanno sviluppando dei movimenti che lottano per vedere riconosciuti alcuni diritti. In India attualmente le donne si stanno organizzando per ottenere il diritto di opporsi ai matrimoni combinati e di difendersi dalle molestie, dagli abusi da parte degli uomini. Anche in Italia molto è cambiato ma c’è ancora molto da fare: sono tantissimi i femminicidi, cioè degli omicidi a danno delle donne, spesso ad opera dei mariti o dei compagni che non accettano di essere lasciati. E mi ritrovo a pensare: ma da dove nasce questo senso di superiorità? La mia attenzione spesso si focalizza su questa superiorità che esprimono delle persone che si ritengono migliori di altri, non per meriti personali, ma perché magari più ricche, più scaltre o semplicemente sane.

Per quello che mi riguarda posso dire che amo la diversità in tutte le sue forme, perché la considero in realtà una ricchezza: mi piacciono le persone diverse da me, che possono aprirmi mondi sconosciuti, insegnarmi un altro modo di vedere. I disabili per esempio hanno un loro punto di vista sul mondo e mi fanno riscoprire una sensibilità che spesso ci dimentichiamo. Purtroppo sono penalizzati per molti versi, perché nel nostro Paese sono tantissime le barriere architettoniche e i pregiudizi che rendono ancora più difficile la loro condizione. Il “diverso” quindi, può essere lo straniero, differente per lingua, cultura, religione e sensibilità su determinate tematiche come può essere l’omosessuale o il portatore di handicap, verso il quale le persone assumono atteggiamenti contrastanti, dalla solidarietà al rifiuto.
Insomma, ciò che è simile a noi forse è più rassicurante eppure, allo stesso momento, in ognuno di noi c’è il desiderio di fuggire dall’omologazione.
La diversità culturale rappresenta per me una spinta alla conoscenza innanzitutto, e poi alla crescita e rinnovamento nel segno del rispetto reciproco, scongiurando il pericolo di ideologie razziste e xenofobe.

Un’altra forma di diversità è quella religiosa. La presenza della religione nella nostra società è un punto fermo che si manifesta nel bisogno di credere in qualcosa e di sentirsi una comunità. Nessuna fede può giustificare l’uccisione di un uomo e nessuna guerra può essere definita santa. Il rispetto delle diversità dipende dal nostro grado di tolleranza e di amore per la vita, dall’importanza che diamo alla vita stessa.


Al giorno d’oggi gli uomini possono essere in contrasto tra di loro anche, addirittura, a causa della fede calcistica o di un’ideologia politica. Spesso il telegiornale riporta notizie che parlano di violenze fuori dagli stadi o riscontri verbali ed anche fisici all’interno del parlamento. Che tristezza! Forse dobbiamo capire a cosa dare (o ridare) importanza! Tutte queste situazioni si verificano perché la popolazione è sempre più ignorante e siccome molte persone non hanno una grande capacità oratoria preferiscono insultare gli altri o alzare le mani quando non sanno rispondere. Ed è anche la mancanza di educazione che porta spesso a queste situazioni paradossali: io credo che l’educazione sia una qualità sempre troppo sottovalutata, oggi la persona educata viene spesso considerata debole. E credo che sia un punto molto importante questo.

Anche io alcune volte mi sento diversa, mi sento diversa quando sono assalita dai dubbi, quando a causa dell’ansia non riesco ad affrontare un ostacolo, quando intorno a me ci sono persone che hanno sempre la verità in tasca e ostentano sicurezza. Ogni tanto mi fermo a riflettere e cerco di essere clemente con me stessa, come lo sono con gli altri, e sono arrivata alla conclusione che solo le persone superficiali non hanno mai dubbi e che la mia ansia, che spesso mi ostacola, è vero, è anche un campanello di allarme che in
alcune situazioni mi spinge a dare il meglio di me. Però sono soddisfatta: in fondo, pensandoci, quando mi addormento la sera raramente ho dei rimorsi, perché so che cerco sempre di capire il punto di vista degli altri, mettendomi spesso in discussione e conservando la possibilità di cambiare idea.

Sarebbe bello se nel mondo gli esseri umani vivessero nella pace e nell’armonia e che la terra non avesse barriere. Mi viene da paragonare la società a un campo fiorito: è bello ammirare un campo di papaveri rossi, ma un campo tempestato da fiori di mille colori sgargianti e diversi lo è ancora di più.

Ho letto da qualche parte che:
“la terra è un solo paese,
siamo onde dello stesso mare,
foglie dello stesso albero,
fiori dello stesso giardino.”

Io sono d’accordo. La diversità è ricchezza e conoscenza, rispettarla significa aprirsi a nuovi orizzonti. Sulla fratellanza ed il rispetto delle diversità noi giovani possiamo costruire le basi per un mondo migliore. Mi auguro che riusciremo a farlo. Io, nel mio piccolo, voglio mettercela tutta.

Ivana Gargano