Browsing Category

Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere

Articoli Recenti, Attualità: come va il mondo, Contaminazioni, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

L’amore oltre la morte: l’Olanda dei Tulipani

La parola “tulipano” viene dal turco “tulbend”, che significa “turbante”. E infatti rimanda al copricapo che si usa nelle zone medio orientali del mondo. Questo non è un caso, perché i bulbi di tulipano arrivarono in Europa dalla Persia nel 1554. Si diffusero in particolare in Olanda e ancora oggi i tulipani sono un vero e proprio simbolo dei Paesi Bassi. il 1 maggio in Olanda c’è proprio la festa dedicata a questo fiore.

I tulipani però erano però, inizialmente, molto costosi e per questo erano considerati un bene di lusso quasi come i diamanti. Nel Seicento, i bulbi dei tulipani, per quanto erano ritenuti preziosi, potevano anche essere scambiati con terreni e bestiame.
Con il passare degli anni venne aumentata la produzione e si favorirono anche degli innesti, si fecero tante sperimentazioni che consentirono di produrre fiori di molti colori, tutti diversi e nuovi. I più richiesti erano quelli striati che si ottenevano
iniettando nel bulbo un virus, pensate un po’
. Finalmente questo bel fiore stava pian piano diventando accessibile a tutti. Oggi in Olanda ci sono tantissime zone in cui possiamo incontrare grandi coltivazioni di tulipani, da visitare a piedi o in bicicletta, come fanno i locali.

Ma nel linguaggio dei fiori, cosa rappresenta il tulipano? Ho letto che alla donna amata si usa regalare la rosa in diverse zone del mondo, ma non tutti sanno che è invece il tulipano il simbolo dell’amore oltre la morte. Se la rosa è l’amore terreno, il tulipano rappresenta una dimensione più alta: quella dei sentimenti più nobili, dell’amore che tende all’infinito.
Al riguardo, esistono alcune leggende, la più famosa è iraniana, e racconta la morte di Shirin, una bellissima giovane innamorata di Farhad, partito in cerca di fortuna che però non tornò mai più. Disperata, la fanciulla si mise alla ricerca dell’amato fino a quando, in preda allo sconforto più totale, cadde su alcune pietre aguzze e si fece male, così tanto che morì, in un mare di lacrime e di sangue. Proprio da quel sangue, in quel luogo, nacquero i primi tulipani. Rossi, ovviamente, perché rosso è il colore del sangue ma anche della passione e dell’amore.

Mi piace molto studiare la geografia anche attraverso simboli e tradizioni dei Paesi. Questa dei tulipani è stata una bella scoperta.

Articolo di Federico Vittori, classe 2A.

Articoli Recenti, Contaminazioni, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere

Gutenberg, qualche riflessione

Il padre della stampa è Gutenberg, lo sappiamo tutti. Mi ha molto colpito la storia della sua invenzione, perché credo che sia una delle più importanti di tutti i tempi. Una di quelle che ha davvero cambiato la storia, perché ha cambiato la mente delle persone. 
Gutenberg h fatto in modo che si diffondesse la cultura in lungo e in largo, quindi praticamente ovunque, e nel tempo, quindi in ogni periodo storico da quel momento in poi.
Questa tecnologia, infatti, ha permesso la diffusione del sapere in maniera economica e veloce, anche tra persone che altrimenti non avrebbero potuto permettersi di comprare un libro. Insomma, la stampa a caratteri mobili, nata il 3 febbraio 1468 è forse la prima arma di istruzione di massa e quindi nelle slides potrete leggere chi era quest’uomo e cosa sono i suoi caratteri mobili.

Buona lettura, cliccate sul file.

Articolo di Matteo Laska, classe 2A

Articoli Recenti, Attualità: come va il mondo, Confini Immaginari, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

JUHANNUS – SOLSTIZIO D’ESTATE TRA KOKKO E FIORI DI CAMPO

Il solstizio d’estate per molti è il momento più bello dell’anno. In tutto il mondo si festeggia il ritorno della luce, dell’estate, delle giornate lunghissime, dei fiori, del sole.

Vedremo come il solstizio è festeggiato in diversi posto del Mondo. Cominciamo con la Finlandia. Juhannus è la tradizionale festa nazionale finlandese per celebrare il giorno più lungo dell’anno. Poiché segna l’inizio della stagione estiva, molti finlandesi vanno in vacanza simbolicamente proprio quel giorno o se non possono partire fanno piccole gite giornaliere. La fine di giugno è un periodo pieno di eventi, soprattutto perché qui il buio ormai scomparirà per tutta la stagione e si vedranno sempre più spesso i meravigliosi fenomeni del sole di mezzanotte.

Nelle regioni settentrionali della Lapponia Finlandese il Sole resta sopra l’orizzonte per più di 70 giorni consecutivi, sotto il Circolo polare, invece, tramonta ma solo per pochissimo tempo durante la notte e cmq non si può dire che diventi buio davvero.

Le tradizioni principali del solstizio d’estate sono legate ad alcuni elementi principali: sauna e bagno nelle acque pure finlandesi, fiori e fuochi accesi.

Fare la sauna e poi il bagno è simbolo di rigenerazioni in tutte le culture nordiche, oltre ad essere una importante pratica di benessere, soprattutto per la circolazione.
Secondo una credenza popolare, poi, se una giovane ragazza ripone sette fiori appena colti sotto il suo guanciale prima di addormentarsi il giorno del solstizio d’estate, riuscirà a sognare il suo futuro fidanzato.
E infine i falò, cioè i kokko. Di solito si accendono il giorno di San Giovanni (Juhannus appunto) per il solstizio d’estate, in zone controllate e sicure per bruciare gli spiriti maligni e purificare l’atmosfera.
Nei tempi passati il solstizio d’estate era considerato un momento magico, di passaggio, con varie tradizioni legate alla fertilità, all’abbondanza e all’amore. Non a caso molti matrimoni sono organizzati proprio in questo periodo, complici le temperature più favorevoli.

“uhannus è un momento di transizione fra due mondi, quello del buio e quello della luce e infatti, per attirare la buona sorte luminosa e gli spiriti amici i finlandesi amano divertirsi facendo rumore e bevendo molto, brindando alla vita che con l’estate torna a esplodere. 

Articolo di redazione della classe 2A

Articoli Recenti, Attualità: come va il mondo, Frontiere e confini, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

L’Amazzonia tra natura e cultura

foresta tropicale
Eliconia

Le foreste tropicali sono dei biomi che si sviluppano nelle zone equatoriali, cioè nelle aree dove le temperature elevate e le forti precipitazioni durante tutto l’anno,
permettono alla vegetazione di restare sempre verdi, rigogliose, potentissime.
Queste foreste si trovano in Africa, Asia e America Latina, in quest’ultima è collocata la più importante di tutte, l’Amazzonia. Anche se occupano “solo” il 7% delle terre emerse, le foreste tropicali racchiudono più della metà di tutte le specie animali e vegetali del mondo intero: una biodiversità incredibile!

L’Amazzonia è la più antica foresta pluviale del mondo: ha 100 milioni di anni, si
sviluppa in un’immensa pianura alluvionale compresa tra il massiccio della
Guayana a nord e l’altopiano del Brasile a sud, l’oceano Atlantico a est e la
Cordigliera delle Ande a ovest. Con una superfice di 6,7 milioni di chilometri
quadrati, è la più vasta e variegata foresta tropicale e pluviale della Terra e il più
grande bacino fluviale del pianeta. La regione corrisponde per gran parte al bacino
del Rio delle Amazzoni, si estende dalle Ande fino all’Oceano Atlantico, e si trova
per circa due terzi in Brasile, mentre la zona rimanente si divide tra Colombia,
Ecuador, Perù, Bolivia, Venezuela, Suriname, Guyana e Guayana Francese.
L’area
è coperta prevalentemente da una fitta foresta pluviale umida tropicale, intervallata
da savane, praterie, paludi, bambù e foreste di palme che costituiscono ecosistemi
unici e una ricchezza ineguagliabile in termini di biodiversità acquatica e terrestre.
Basti pensare che il 10% delle specie conosciute sulla Terra provengono
dall’Amazzonia. Il più grande numero di specie di pesci d’acqua dolce al mondo si
trova in questa regione (circa 3.000) a cui si aggiungono 427 specie di mammiferi,
1.300 di uccelli, 378 di rettili e 427 di anfibi. Inoltre in questo vasto bioma il 75%
delle 40.000 specie di piante presenti sono uniche ed endemiche. Lo stesso livello
di diversità si riscontra per gli invertebrati: ogni 2,5 kmq di foresta si possono
rilevare circa 50.000 specie diverse di insetti.

L’Amazzonia gioca un ruolo fondamentale nella stabilità del clima regionale e globale, non solo perché la sua vegetazione trattiene il carbonio, ma anche perché grazie al suo immenso bacino idrografico facilita la circolazione dell’aria che dall’Oceano Atlantico si muove verso le Ande orientali.


Cascata do Caracol (Canela, Brasile)

Tutta questa abbondanza di risorse naturali non è sfuggita al gigantesco appetito dello sviluppo economico e delle multinazionali che ne sfruttano il territorio e le materie prime su scala industriale. Infatti il più grande nemico di questi ecosistemi è l’uomo.

La deforestazione è uno dei principali problemi a cui le foreste tropicali vanno incontro: non solo le piante, ma anche gli animali che ci vivono sono in serio pericolo. Più della metà delle foreste tropicali del mondo sono state distrutte in modo irrimediabile. L’Amazzonia è un grande “produttore” di ossigeno, unico “antidoto” per l’effetto serra: l’accumulo nell’atmosfera di anidride carbonica e di altri gas e il conseguente trattenimento del calore solare, ha portato negli ultimi 130 anni a un riscaldamento della superficie terrestre. Se questo fenomeno non si fermasse le conseguenze potrebbero essere catastrofiche: evaporazione dei mari, scioglimento
dei ghiacci polari, scomparsa di molte forme di vita. Un patrimonio dell’umanità; una riserva di ossigeno per il mondo che dobbiamo assolutamente tutelare.

Non solo natura: l’Amazzonia è anche un territorio in cui vivono popoli indigeni. Sono circa 400 i popoli, con circa un milione di persone, che vivono nelle foreste amazzoniche.


Comunità come quelle dei Karipuna, Guarani, Yanomani, Kichwa, Shuar, Wajapi spesso vivono in isolamento volontario o non sono mai stati a contatto con il mondo esterno. Tribù che con la loro storia e con le loro tradizioni rispettose della Natura che li circonda hanno contribuito a plasmare e proteggere la biodiversità di questi
grandi ecosistemi
. L’Amazzonia è abitata da società che hanno in comune
molti tratti culturali, ma le cui lingue sono caratterizzate da una grande diversità. Ci
sono circa 330 lingue esistenti. Nonostante le disparità, il contatto a lungo termine
tra molti dei linguaggi, ha creato somiglianze tra molte lingue confinanti che non
sono geneticamente correlate tra loro. Le piccole tribù parlano anche l’inglese, che
viene utilizzato come una delle loro lingue secondarie. Gli indigeni che vivono in
questi territori devono adattarsi alle condizioni ambientali presenti, ad esempio il
cibo. La principale fonte di proteine per queste tribù ​​è il pesce, seguito dalla caccia
di pecari, tapiri, roditori e scimmie. L’espansione agricola, con la sua versione del
taglia e brucia, è iniziata sulle montagne delle Ande occidentali e si è estesa sulla
maggior parte dei principali fiumi in Amazzonia.
Alcuni gruppi, in particolare quelli
che si basano sull’agricoltura, sono piuttosto aggressivi e inclini ad attaccare i loro
vicini. Tuttavia, esistono relazioni simbiotiche tra le diverse civiltà: ad esempio i
Tucanoans, che si basano sull’agricoltura, commerciano con i Nadahup, che sono
cacciatori-raccoglitori. Questi ultimi forniscono carne animale dalla selva e veleno
ottenuto da pesce, e in cambio ricevono farina di tapioca dalle piantagioni
Tucanoan, così come la ceramica.


Le tribù di indios esistenti in Amazzonia sono numerosissime; vediamone qualcuna.

I Tupi erano una delle più importanti popolazioni indigene del Brasile. Gli studiosi
ritengono che inizialmente si stabilirono nella foresta amazzonica. Erano divisi in
diverse tribù costantemente in guerra tra loro. I Tupi mangiavano i resti dei parenti morti come una forma d’onore e rispetto per i defunti. Il fenomeno dei rituali di cannibalismo in Brasile è diminuito costantemente dopo il contatto europeo e l’intervento religioso.

Gli Ye’kuana, sono una tribù che abita case con struttura circolare con un tetto a forma di cono fatto di foglie di palma. Costruire una atta, nome di queste abitazioni, è considerata una attività spirituale in cui il gruppo riproduce la grande casa cosmica del Creatore.

Gli Awá (o Guajá) sono un gruppo in via di estinzione di indios che vivono nella parte
orientale della foresta amazzonica del Brasile. Ci sono circa 350 membri, e 100 di
loro non hanno alcun contatto con il mondo esterno. Originariamente vivevano in
insediamenti, ma hanno adottato uno stile di vita nomade, circa nel 1800, per
sfuggire alle incursioni da parte degli europei. Nel corso del 19° secolo, furono
sempre più sotto attacco da parte dei coloni, che hanno eliminato la maggior parte
delle foreste dalla loro terra. Dalla metà degli anni 1980 in poi, alcuni Awá si sono
trasferiti in insediamenti stabiliti, ma per la maggior parte sono stati in grado di
mantenere il loro stile di vita tradizionale, in cui vivono del tutto nelle loro foreste.

Rio Negro

L’Amazzonia quindi è territorio di molte tribù che rappresentano un patrimonio
genetico, sociale e culturale unico al mondo e la cui distruzione equivale a bruciare
un libro di storia senza averlo letto.

Articolo di Greta Mannella e Lara Pacella, classe 3B

Articoli Recenti, Contaminazioni, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

I Celti

Arrivati dall’Asia Minore, i Celti occuparono, tra l’XIII e il IV secolo a.C., molte regioni del continente europeo e delle isole britanniche. Le loro migrazioni e i loro spostamenti ebbero molteplici cause: l’aumento demografico, lo spirito di conquista, la pressione di altri popoli. Erano organizzati in tribù e un elemento che li legava molto era la religione, che si fondava sul culto di numerosi dei: questo popolo, hanno dedotto gli studiosi, aveva una religione politeista fondata e basata sulla natura e quello che offre: immaginavano che gli dei risiedessero in luoghi nascosti come isole lontane, foreste, grotte. La triade principale delle divinità era costituita da Teutanes, Taranis ed Esus: a questi dei erano dedicati anche sacrifici umani, i Celti erano noti perché decapitavano i nemici.

I Celti non si possono definire davvero un popolo, ma si può parlare di una stratificazione di popoli diversi che si fusero insieme e si dividono in base alla zona in cui vivevano e quindi si appropriano di questi nomi: in Gran Bretagna vengono chiamati Britanni; nella penisola Iberica vengono chiamati Celtiberi; nella penisola Balcanica vengono chiamati Galati; nella Gallia (Francia) vengono chiamati Galli; nei pressi del Danubio vengono chiamati Pannoni.

I Celti attraversarono le Alpi e si fermarono nella Pianura Padana (Gallia cisalpina) e da qui arrivarono anche Roma, che saccheggiarono nel 390, guidati da Brenno. 
Nel II e I secolo a.C., però, l’espansione dei Romani e dei popoli germanici sottrasse ai Celti quasi tutti i territori. Purtroppo in questo modo si perse la loro lingua che sopravvisse solo in Britannia (oggi Gran Bretagna), dove, nonostante l’occupazione romana, i Celti conservarono il Galles, la Scozia, l’Irlanda e alcune isole, come l’Isola di Man. Qui i loro dialetti sopravvissero nelle varianti gaelica, in Scozia e Irlanda e cimrica in Galles e nella zona della Cornovaglia. 

Al vertice della loro società c’erano guerrieri e druidi (che erano detti anche veggenti ed erano sacerdoti, maghi, insegnanti e giudici); poi c’erano i liberi non armati e gli schiavi, che praticavano agricoltura, allevamento, caccia e artigianato. 

I celti sono un popolo molto legato ai simboli, legati com’erano alla natura e al suo simbolismo magico. Sono davvero tantissimi, ne abbiamo scelti solo alcuni.

La triscele.
Si tratta di un simbolo diffuso in diverse aree geografiche, tanto che sono stati ritrovati reperti con questo simbolo anche a Malta, in Anatolia e in Grecia. Anche il simbolo della Sicilia, le tre gambe che si diramano circolarmente da un volto centrale, è una variante dell’antica triscele celtica, ripreso per le tre punte della Sicilia, l’antica Trinacria. Il tratto caratteristico della triscele, che differenzia questo simbolo celtico dalla triquetra, è la sua dinamicità.

La croce celtica.
Simile a una croce cristiana, ma racchiusa dentro a un cerchio, le origini della croce celtica sono ancora avvolte nel mistero. Si pensa che le quattro braccia della croce rappresentassero i quattro punti cardinali o, secondo un’altra teoria, i quattro elementi. Il cerchio che la circonda, invece, fa riferimento al dio del sole Taranis, che era sempre rappresentato con in mano una ruota solare. Il simbolo è quello che vedete nella foto di copertina dell’articolo.

La triquetra.
Questo simbolo racchiude due figure: la prima è il cerchio e la seconda è un tratto unito che forma una forma triangolare. La forma triangolare rappresenta la triplicità dell’universo (come: vita, morte, rinascita e anche mente, corpo, anima). Invece la forma circolare rappresenta l’unità dei tre elementi.

L’albero della vita.
L’albero della vita rappresenta la credenza druidica nella connessione tra cielo e terra, uniti nell’albero grazie ai suoi lunghi rami rivolti verso il cielo e alle sue radici, che si spingono in profondità sotto terra.

Articolo di Simona Campellone, classe 2A

Articoli Recenti, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

I popoli del deserto

Come si può facilmente immaginare, la vita nel deserto è molto difficoltosa, per questo motivo le aree desertiche sono tra le meno popolate al mondo.

La popolazione del deserto più nota è quella dei Tuareg, nomadi e organizzati in piccole tribù, non superiori ai 40 membri. Sono principalmente stanziati nel sud dell’Algeria, nel Niger e nel Mali. La loro religione è islamica. Sono soprannominati “uomini Blu” per via del colore del telo con cui gli uomini si avvolgono la testa ed il viso, lasciando
scoperta solo una stretta fessura per gli occhi. Indossano una lunga veste chiamata
caftano, che serve ai Tuareg per ripararsi dal vento e dalla sabbia del deserto. Si dedicano soprattutto alla pastorizia e all’agricoltura nelle oasi e all’allevamento di dromedari.

I Tuareg vivono principalmente di prodotti ricavati dai loro animali. La loro alimentazione è costituita da latte cagliato, burro fermentato, datteri e cereali dai quali ottengono la farina. Cucinano un particolare tipo di pane che viene cotto sotto la sabbia rovente del deserto. Si sa poco di preciso sul più antico passato di questo popolo, ma ciò che è certo è che per secoli i Tuareg sono vissuti come dominatori del deserto, esercitando l’allevamento, il commercio transahariano e la razzia, il che portava a frequenti scontri tra tribù.

Sottomessi dai Francesi intorno agli inizi del novecento, i Tuareg poterono mantenere a lungo i propri capi e le proprie tradizioni. Ma con la decolonizzazione videro il loro territorio diviso fra molte nazioni, con la conseguente creazione di frontiere e di barriere che rendevano estremamente difficile, quasi impossibile, il modo di vita tradizionale basato sul nomadismo. L’attrito con i governi al potere si fece sempre più forte e sfociò, negli anni novanta, in aperti scontri tra tuareg e i governi di Mali e Niger; l’intervento militare, che a volte ha massacrato la popolazione di interi villaggi, ha causato la morte di molte persone.

Un altro dei popoli più conosciuti sono i Berberi, nella loro lingua vuol dire “Uomini liberi”. I Berberi sono un popolo nomade originario del Nord Africa e si stima siano 40.000 persone in totale di cui maggior parte vive in territori del Marocco ma alcuni in Algeria, Tunisia e Libia. Negli ultimi anni stanno diminuendo a causa delle emigrazioni. Essi hanno una storia antica e lunga, infatti il primo segnale rinvenuto a far capire la loro presenza risale a 12.000 anni fa, cioè delle pitture rupestri trovate in Libia.

I Berberi sono stati influenzati dagli Arabi nel settimo secolo e da loro hanno preso la religione Islamica, visto che prima erano Cristiani, giudici o animisti (crede che non gli umani abbiano spirito e anima ma anche piante animali e lo stesso pianeta).
Una delle loro particolarità è la struttura sociale: sono divisi in tribù ed ogni tribù ha un capo, spesso uomini. Qui a differenza dei Tuareg è l’uomo a scegliere la donna, ma in alcuni casi dipende dalle famiglie e cambia in base alle regioni. Di solito gli uomini pensano al bestiame e le donne alla famiglia e all’artigianato. La loro alimentazione si basa primariamente sul granturco, latte di pecora, formaggio di capra, burro, miele, carne e selvaggina.

La loro cultura è tribale ed è fortemente radicate nella loro tradizione e anche qui cambia da regione a regione, e soprattutto in Marocco costituiscono un enorme patrimonio culturale che rende la nazione unica. Ogni loro celebrazione è rallegrata dalla musica tradizionale, suonata con flauti e batteria accompagnati da un gruppo di ballerini, sia uomini che donne. La loro lingua è divisa in 3 rami, in base alle zone da loro abitate, e fino a qualche anno fa era vietata anche nelle scuole marocchine, ma nel 2011 il re del Marocco, Mohamed VI, la riammise e la fece diventare la seconda lingua ufficiale della nazione. Questa lingua appartiene alla famiglia linguistica afroasiatica, che si lega anche all’egizio, all’arabo e all’ebraico.

Il termine “berbero” deriva dal francese berbère, che a sua deriva dalla prununcia magrebina dell’arabo barbar. Il termine si lega senza dubbio al latino barbarus, con cui, lo ricordiamo, venivano chiamate all’epoca dell’Impero Romano le popolazioni che semplicemente non parlavano la lingua latina.

Articolo di Gabriele Quaranta e Giuseppe D’Amico

Articoli Recenti, Contaminazioni, Il mediterraneo, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Popoli: geostorie tra spazio e tempo

Mescolanza e contaminazioni in Andalusia: il Flamenco

Il Flamenco è una forma di musica e di danza di origine andalusa, che non nasce come vera a propria forma di spettacolo , ma come un modo personale e soggettivo di sfogare i dolori in modo intimo. Si tratta di un ballo inventato dai gitani, che veniva usato come sfogo per chi li perseguitava e nel 2010 è stato dichiarato Patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’Unesco. 

I patrimoni immateriali sono importantissimi perché tramandano cultura e tradizioni, le consacrano, in un certo senso, le tutelano.

L’Andalusia è una terra bellissima che si situa nel Sud della Spagna, che da sempre è fulcro di importati flussi migratori e il Flamenco nasce dalla mescolanza di balli e musiche sia tradizionali che nomadi, una contaminazione bellissima che gitani, mori ed ebrei portarono con sé dalle lontane regioni d’Oriente e d’Occidente e le fusero con le tradizioni europee e spagnole.

Il Flamenco si cantava, inizialmente, senza l’accompagnamento della chitarra, avvalendosi soltanto di supporti ritmici corporali, come il battito dei piedi sul terreno, delle mani oppure delle nocche sul tavolo. Negli ultimi decenni si sono cominciati ad usare nel flamenco anche altri strumenti, come per esempio la chitarra, il sassofono, il flauto, il violino e altri tipi di strumenti a percussione e oggi quindi il Flamenco è una forma di spettacolo a tutti gli effetti e i turisti che vanno in Spagna spesso vogliono assistere a questi spettacoli, bellissimi e coinvolgenti.

Ogni anno, durante il periodo di Pasqua, in tutte le città principali dell’Andalusia, si festeggia la “Feria de Abril” e tra tutte la più famosa è quella di Siviglia. Le ragazze indossano il tipico vestito tradizionale, con un ventaglio e un fiore rosso fra i capelli e gli uomini si vestono da cavalieri gitani. Le strade sono piene di carrozze decorate e risuona la melodia della chitarra spagnola.

Il modello più comune è un vestito fino alla caviglia; a volte anche fatto di due pezzi: gonna e camicia. La gonna è spesso a balze (faralaes) che possono essere posizionati sia sulla gonna che sulle maniche. Di solito è ampia e lunga, perché si deve muovere e deve girare al vento o mentre si balla. La camicia di solito è bianca, rossa o nera, questi sono i principali colori del Flamenco. Il vestito, con disegni sia semplici che a motivi geometrici, o anche a tinta unita a volta, si completa con un tipo di scialle tipico chiamato Mantón de Manila. Immancabili il ventaglio, le nacchere e il fiore nei capelli, in ordine e raccolti. Non vedo l’ora di poter viaggiare dopo il Covid e assistere a uno di questi spettacoli.

Articolo di Lorenzo Verlingieri, classe 2A

Articoli Recenti, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere

Viaggio tra i simboli giapponesi

Il Giappone mi ha molto affascinata nello studio della geografia di quest’anno, soprattutto per la sua cultura, le sue tradizioni e la sua gente. La cultura giapponese è piena di ritualità e di simboli: dai disegni sui kimono fino ai tatuaggi.

Guardate quali sono i simboli più diffusi in questo angolo bellissimo di mondo e il loro significato associato, cliccando sul PowerPoint qui di seguito.

Articolo e PowerPoint di Martina Coppola

Articoli Recenti, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere

Geografia e Storie d’amore: Asia

La mitologia e il folklore dei paesi asiatici ci mostrano e ci raccontano tante storie romantiche che hanno per protagonisti un uomo e una donna legati da un amore indissolubile.

Non sempre, purtroppo, c’è il lieto fine, ma in compenso abbondano stelle, principi, promesse eterne e altri elementi che creano un’atmosfera da sogno.

Ve ne ho scelte alcune che mi sono piaciute e spero davvero che vi faranno compagnia in zona rossa o arancione. Buona lettura!

San Valentino in Cina: Il bovaro e la tessitrice

Il bovaro Niu Lang e la tessitrice Zhi Nu sono innamorati ma si possono incontrare una sola volta all’anno. Questa data fatidica cade il settimo giorno del settimo mese del calendario lunare (varia ogni anno ma è intorno al 7 luglio) ed è una ricorrenza che viene festeggiata in Cina come Qixi Festival, l’equivalente del nostro San Valentino. Gli innamorati trascorrono insieme momenti romantici e si scambiano doni.

Ma chi sono i protagonisti di questa popolare leggenda? Niu Lang è un orfano che possiede solo un vecchio bue. Zhi Nu è la figlia dell’imperatore celeste: la più bella e la più abile tessitrice tra le sette figlie dell’imperatore. Niu Lang e Zhi Nu si innamorano perdutamente, si sposano e hanno anche due figli ma il loro amore fa arrabbiare il padre di lei, che richiama immediatamente al cielo la figlia. I due innamorati vengono divisi e non posso che guardarsi da lontano e piangere. Il dolore provato da due amanti, prova tangibile della forza del loro amore, commuove gli dei celesti che decidono di concedere loro un giorno all’anno per ritrovarsi. Nel giorno stabilito dagli dei uno stormo di gazze forma un ponte su un fiume che li tiene separati per permettere ai due innamorati di incontrarsi. Nella mitologia cinese il fiume che divide i due amanti è la Via Lattea, mentre le due stelle luminose ai lati opposti della costellazione sono Niu Lang (Altair), e Zhi Nü (Vega). Le due stelle più piccole che si allineano con Altair sono i figli dei due innamorati.

Ancora oggi le due stelle più grandi che brillano ai due lati del fiume, la stella Altair e Vega, ovvero Niu Lang e Zhi Nu, si possono ammirare nel cielo notturno durante l’autunno, e vicino a loro due stelle più piccole, i due figli nati dal loro amore.

Rama e Sita

Un’altra bellissima storia d’amore asiatica è quella di Rama e Sita, che viene simbolicamente festeggiata durante il Diwali, il festival delle luci della tradizione indiana. Rama e Sita sono marito e moglie e il loro era un matrimonio felice. Il demone Ravana però, che è un demone, si invaghisce di Sita e un giorno la rapisce per averla come sposa. Sita rompe la sua collana e lancia uno a uno i gioielli e le sue perle per lasciare una scia che indichi all’amato Rama la via da seguire per ritrovarla. Rama, principe guerriero coraggioso e innamorato, si mette sulle tracce della sua bella. Lungo il cammino incontra il re delle scimmie Hanuman che diventa suo amico e decide di aiutarlo: invoca l’aiuto di tutte le scimmie e gli orsi del mondo, che accolgono l’invito. Grazie a loro, che si uniscono a formare un ponte, Rama raggiunge l’isola dove Sita viene tenuta prigioniera. Ha inizio una battaglia sanguinosa che termina con l’uccisione del demone Ravana. Rama e Sita riprendono il lungo viaggio di ritorno verso casa e il loro cammino viene guidato da lampade ad olio accese dagli abitanti della città di Ayodhya in loro onore, per indicargli la strada del ritorno.

Ogni anno nel giorno del Diwali viene ricordata la bella storia di Rama e Sita e vengono accese lampade per ricordare che la luce trionfa sul buio, ovvero il bene vince sul male.

Pandagian e le stelle: amore in Indonesia

Meno conosciuta in Occidente è questa leggenda indonesiana che ho trovato molto poetica e ve la voglio raccontare.

Pandagian è una fanciulla che vive in un villaggio dell’Indonesia. Ogni notte va in una radura nei pressi del mare a danzare per ore. La sua danza non ha eguali nel mondo per leggiadria e mentre danza la fanciulla dimentica ogni cosa. Alle prime luci del mattino Pandagian torna nella capanna dove vive con la famiglia. Per entrare nella capanna deve salire una scala di legno. Un giorno il padre, adirato dalle continue uscite notturne della figlia, le impone di smettere di danzare. La ragazza non rispetta l’ordine del padre, ma al ritorno dalla consueta danza notturna l’attende una sorpresa: la scala è stata tolta, impedendole di entrare nella capanna. Pandagian implora il padre di farla entrare, ma non c’è modo di convincere l’uomo a cambiare idea. Rimane a dormire per terra. Guardando in alto il cielo le sembra di scorgere il principe della notte Ramasian che guida il suo carro tra le stelle. “Ah, se potessi danzare tra le stelle!”, sospira la fanciulla. Come d’incanto, una sedia d’oro sostenuta da una catena d’argento, le appare. Appena Pandagian si siede, la sedia magica si alza in volo. All’altezza della capanna Pandagian si ferma a salutare la famiglia. Il padre, compreso l’errore commesso, le chiede di restare ma la ragazza ha ormai preso la sua decisione. Ramasian e Pandagian si sposano e la fanciulla è libera di danzare tra le stelle. La vita dei due innamorati scorre felice, fino a quando Pandagian ha la curiosità di recarsi al fiume e danzare tra le acque della cascata. Il principe del sole, l’invidioso fratello di Ramasian, coglie l’occasione per trafiggere la fanciulla con un raggio infuocato. Sono le stelle a dare l’annuncio della sua morte a Ramasian. Distrutto dal dolore, il principe rimane accanto al corpo della sposa per giorni, dopodiché decide di trasformarlo in infinite stelle lucenti. Le getta lontano, dando vita a nuove costellazioni. L’ultima stella che gli rimane in mano gli ricorda il volto della donna amata. Come ultimo sommo gesto d’amore, spezza la stella in mille frammenti che diventano animaletti luccicosi e li invia sulla Terra affinché il padre di Pandagian possa riavere con sé la figlia amata.

Le lucciole inviate da Ramasian sulla Terra danno il via ad una danza leggiadra e i genitori di Pandagian riconoscono in loro il messaggio d’amore della figlia, che vuole salutarli e consolarli.

Il filo rosso del destino

L’espressione “legati da un filo rosso” la conoscete sicuramente. Vi dice qualcosa? Il filo rosso del destino (o dell’amore) è una leggenda molto diffusa in Giappone, sebbene originariamente sia cinese. Secondo questa storia, ognuno di noi fin dalla nascita porta attaccato al dito mignolo della mano sinistra un’invisibile filo rosso che lo lega alla persona a cui è destinato. Il filo rosso dell’amore è indistruttibile: le due persone legate sono inevitabilmente destinate a incontrarsi e a innamorarsi.

Questa storia ci dice che per ognuno di noi esiste qualcuno che ci aspetta o che sta lottando per arrivare a noi.

Articolo di Alessia Di Chello, 3A

Articoli Recenti, Attualità: come va il mondo, Contaminazioni, Lingue e culture diverse: parole e tradizioni oltre le barriere, Parole

Hoppeditz e le rose

Il termine “cultura” deriva dal latino “colere”, cioè “coltivare”. Rappresenta quindi anche un insieme di conoscenze e tradizioni di un popolo che vengono tramandate di generazione in generazione. Nella nostra rubrica andremo ad indagare proprio la cultura di Paesi a noi vicini o di Paesi più lontani, scegliendo punti di vista diversi. Perché crediamo che conoscere le diverse culture sia la chiave per capire il mondo di oggi. Le parole oltre le barriere, appunto, come ci ricorda il titolo della nostra rubrica: parliamo di cultura e di parole.

E oggi, non a caso, vi vorremmo parlare di una delle tradizioni che caratterizza profondamente le cultura di moltissimi paesi, il carnevale. Vi aspettavate il Brasile o Venezia? No, dovreste saperlo, non siamo così banali. E dunque andiamo a farci un giro in terra tedesca.

 Prima però ricordiamo che la Germania si trova nel Centro della nostra bella Europa e che la sua capitale è Berlino. Il nome Germania ha origine dai Romani e significa “Paese dei Germani”, mentre il nome Deutschland compare per la prima volta nella forma Dütiskland nella Kaiserkronik (componimento poetico) e vuol dire “Paese tedesco”. La Germania è la nazione più popolosa dell’Europa ed è tra le più ricche. Qui si parla il tedesco, una lingua indoeuropea ma che appartiene al ramo occidentale delle lingue germaniche. Questo vuol dire che è nata grazie all’influenza della tradizione di testi latini in volgare utilizzati per scopo religioso. Pensate un po’! Il latino infatti fu la lingua veicolare dei dotti europei del passato, un po’ come oggi l’inglese è la lingua base per tutti. Ancora oggi si possono facilmente rintracciare prestiti del latino nella lingua tedesca: Pflanze viene da plantam, pianta; oppure Fenster, da fenestra, finestra.  

Ricordiamo infatti che i Germani vennero in conttato con i Romani e da questo incontro-scontro nacquero i regni romano germanici. Vorremmo dirvi altro sulla parte storica, ma dobbiamo approfondire lingua e cultura in questa sede, quindi torniamo al nostro carnevale, il cui nome, secondo l’interpretazione più diffusa e accreditata viene proprio da latino, carnem levare, “eliminare la carne”, in riferimento al banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale prima della Quaresima, periodo di digiuno e ritiro spirituale. In alternativa la parola carnualia, “giochi campagnoli”, ha anch’essa un certo seguito. Di sicuro queste feste hanno origini molto antiche, ci fanno fare un salto indietro fino alle dionisiache greche o ai saturnali romani: in entrambi casi, durante queste feste, ci si lasciava andare alla dissolutezza e allo scherzo, bandendo ogni obbligo sociale spesso facilitati dall’uso di indossare una maschera.

Sulla maschera, reale e simbolica, potremmo dire moltissimo ma in questa sede ricordiamo soltanto che, grazie ai banchetti e alle feste del carnevale, il caos sostituiva momentaneamente l’ordine prestabilito, diventando così un momento di rinnovamento simbolico ma molto potente per tantissime culture, su tutto il pianeta.

Questa festa così affascinante, dunque, e piena di significati, è identificata, all’interno della regione tedesca, per tornare a noi, con nomi diversi e si festeggia anche in modi diversi a seconda della città in cui ci troviamo, infatti a Ovest si chiama “Karneval”, al Centro e al Sud “Fastnacht”, mentre in Baviera e in Austria prende il nome di “Fasching”. Ma in ogni caso le “città del carnevale” rimangono Düsseldrof, Kölin e Mains. Ad esempio, a Düsseldrof succede questo: la città rimane in stand by per tre giorni e poi l’apice della festa viene raggiunto il lunedì (rosenmontag, lunedì delle rose) quando chiudono tutti i negozi, uffici e fabbriche e arrivano tantissimi turisti, di solito un milione. L’atmosfera è bellissima! Verso mezzogiorno inizia un gran corteo con carri e maschere che dura per circa quattro ore. In questo lasso di tempo le persone bevono e si divertono, infatti in questi giorni si consuma molta birra, come succede spesso nelle feste tedesche e nordiche in generale. Il motto di questa festa è “Wo früher meine Leber war, ist heute eine Mini-Bar”, cioè “Dove una volta c’era il mio fegato, oggi c’è un mini-bar”. Il Carnevale di Düsseldorf ogni anno anima e colora la città, in particolare l’Altstadt – la “città vecchia”, ed è una festa imperdibile per i cittadini e per i turisti. Ovunque c’è musica, ovunque fiumi di gente ma i balli in costume sono la parte più bella e la maschera tipica è Hoppeditz, figura che simboleggia la pazzia: l’11 novembre (e cioè l’undicesimo giorno dell’undicesimo mese dell’anno, alle 11,11) la città viene consegnata a Hoppeditz e ai suoi amici mezzi matti, che rendono tutto bellissimo e magico.

Che dirvi, allora? Ovunque voi siate, buon carnevale!

Articolo di Ludovica Bruno e Maria Claudia Pio