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Recensione libro: Nel mare ci sono i coccodrilli.

AUTORE: Fabio Geda

CASA EDITRICE: Baldini Castoldi Dalai

ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2010

Questa è la storia di Enaiatollah Akbari, un ragazzo originario dell’Afghanistan e arrivato in Italia dopo una terribile odissea che lo ha portato a spostarsi attraverso Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. All’età di undici anni, infatti, sua madre, per sottrarlo ai pericoli del paese in cui vive, lo porta e poi abbandona in Pakistan, non prima di avergli fatto tre raccomandazioni che lui ricorderà sempre: non usare droghe, non usare armi e non rubare. Enaiatollah in Pakistan riesce a guadagnare e a sopravvivere finché un giorno incontra un gruppo di ragazzini intenzionati a partire per l’Iran e si unisce a loro. Tra questi c’è anche Sufi, con il quale istaura una bella amicizia. In Iran trovano lavoro come muratori; nel cantiere li pagano bene e il venerdì, che è il loro unico giorno libero, come tutti gli altri bambini, vanno a giocare. Enaiatollah conosce poi un altro gruppo di ragazzini che gli propone di andare in Turchia. Lui accetta, per migliorare le condizioni della sua vita, ma a malincuore perché Sufi decide di rimanere in Iran. Il viaggio è difficilissimo, rischia più volte la vita sulle montagne e, una volta arrivato in Turchia, viene trasportato fino a Istanbul nel sottofondo di un camion dove resterà per tre giorni. Il tutto è raccontato con grande trasporto, poiché il dolore del protagonista è grande in quel drammatico viaggio, in cui scopre quanto l’uomo possa essere cattivo. Decide poi di partire per la Grecia. C’è da attraversare un tratto di mare usando solo un gommone e dei vecchi remi. Uno dei compagni di viaggio cade in acqua e, malgrado vari tentativi, non riescono a salvarlo. Arrivano infine in Grecia ma Enaiat, dopo aver scoperto di non poter restare in quanto privo di permesso di soggiorno, si imbarca clandestinamente per l’Italia dove vive un ragazzo del suo paese che conosce solo di nome. Prov ugualmente. Raggiunge Venezia, poi Roma e infine Torino. Qui viene poi ospitato in una famiglia (che in seguito lo adotterà) e inizia a studiare, rendendo la sua vita migliore, finalmente. Dopo qualche anno decide di contattare la madre e chiede ad un amico di rintracciarla. Una sera riceve una telefonata segnata da lunghi silenzi e molte lacrime. La mamma è ancora viva.

Ero convinta che il libro non mi sarebbe piaciuto, perché i miei generi preferiti sono altri, e invece mi sbagliavo. Man mano che continuavo, la lettura mi catturava sempre di più, mi ha coinvolto a tal punto che mi sembrava di essere nel libro al fianco di Enaiat, durante il suo sfincante viaggio. Mi ha colpito il coraggio di Enaiat il quale, nonostante le innumerevoli difficoltà incontrate, non si è mai perso d’animo.

È impressionante come un ragazzino della mia età abbia lottato per la sua libertà e sia riuscito a conquistarla; è impressionante il confronto con noi ragazzi che abbiamo tutto, che non sappiamo forse lottare più per niente. Il libro fa riflettere sulle difficoltà e le sofferenze di coloro che decidono di fuggire dai propri paesi di origine nella speranza di trovare un futuro migliore, trattando il tema scottante delle migrazioni attraverso un punto di vista interessante e coinvolgente. La storia di Enaiatollah si conclude con un lieto fine. Come una favola. Il bello è che però, tra l’Afghanistan e l’Italia, si parla di vita vera, perché quella che Fabio Geda ci racconta magistralmente è una storia vera.  Il libro è inoltre anche avventuroso, raccontato con un linguaggio a tratti avvincente e a tratti commovente, ed è vero che parla di ingiustizie, ma è vero pure che racconta sopratturro di amicizia vera, di bontà e generosità umana.

Ci fa capire quanto siamo fortunati, da questa parte del mondo, e ci porta ad apprezzare quello che abbiamo spingendoci a dare, quando possibile, una mano agli altri e a  non guardare con sospetto quanti sono diversi da noi. Grazie a questo libro ho riflettuto su quanto sia importante il valore di ogni vita, di quanto ognuno di noi possa essere un grande uomo e una grande donna se sa essere gentile, amorevole, intelligente e “realmente umano”. Penso sia un libro fantastico da cui si possono imparare molte cose. Dà coraggio e insegna a non arrendersi al primo ostacolo.

Qui potrete leggere la nostra intervista all’autore, Fabio Geda, che ringraziamo ancora una volta sia per sua la disponibilità, sia per le parole del suo libro.

Giulia Romano

Interviste, Rubriche

Intervista a Fabio Geda

Abbiamo letto “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda. Ci è piaciuto tantissimo e abbiamo pensato di fare qualche domanda all’autore per soddisfare le nostre curiosità.

Fabio Geda
  • Dove e come ha conosciuto Enaiatollah?

Ci siamo incontrati durante una presentazione del mio primo romanzo. Lui era stato invitato a fare da controcanto, con la sua storia vera, alla storia da me inventata di un ragazzino romeno che viaggiava da solo, in Europa, per cercare suo nonno. Quando l’ho sentito parlare, e raccontare, ho percepito una grande sintonia tra il suo sguardo leggero, persino ironico, sulle proprie drammatiche vicende, e quello che io tentavo di fare con la mia scrittura. In quel momento, quella sera stessa, “Nel mare ci sono i coccodrilli” ha cominciato a nascere.

  • Cosa ha provato quando ha ascoltato la sua storia?

Curiosità per tutto ciò che non sapevo. Vergogna per il comportamento di certi uomini. Orgoglio per il fatto che stavo aiutando Enaiat a raccontarla.

  • Perché ha deciso di scrivere questo libro?

Perché ciascuno di noi può fare del suo meglio per cambiare il mondo, per renderlo più equo e ospitale, e il primo passo, secondo me, è sapere le cose. Bisogna informarsi, comprendere e, quindi, avere gli strumenti per poter discutere. Online ci sono molti siti dove informarsi, quello dell’Unhcr, quello di Save the children, oppure il Redattore sociale. Il mio unico scopo, quando scrivo una storia, è raccontarla, diffonderla, perché ho una grande fiducia nel potere della narrazione. Ogni storia porta dentro di sé delle verità e se la gente ha voglia può permettere a quelle verità di entrare nella propria vita. Ogni storia è come un paio di occhiali: una volta indossati, non puoi più guardare il mondo come prima. Ecco, io spero che questa storia cambi lo sguardo ai suoi lettori. Molti mi dicono: Dopo aver letto la storia di Enaiat non riesco più a guardare i giovani migranti con gli stessi occhi di prima, vedo Enaiat ovunque. Ecco, questo è il risultato che mi rende più felice.

  • Il titolo “Nel mare ci sono i coccodrilli” ci è piaciuto moltissimo perché è molto evocativo: come le è venuto in mente?

Senza entrare nell’ovvia metafora dei tanti pericoli che attanagliano l’infanzia nel mondo (i coccodrilli sono i regimi ortodossi, coccodrillo è chi abusa, chi sfrutta, chi ferisce) mi interessava segnalare la paura tipica di un infanzia nella quale l’adulto è assente. Tra le tante cose di cui potevano avere paura Enaiat e i suoi amici, sulle coste turche, certo tra queste non ci sono i coccodrilli. Ci fossero stati degli adulti, lì, con loro, avrebbero potuto dire: Stai tranquillo, i coccodrilli nel mare non ci sono (ci sono le onde, le motovedette e tanto altro, ma non i coccodrilli), e quegli stessi adulti avrebbero potuto consolare i bambini.  Ma gli adulti non c’erano. Noi, non c’eravamo.  

  • Com’è stato il suo rapporto con Enaiatollah durante la scrittura del libro?

Ottimo. Lui era felice, ma non commosso. Era molto lucido, lui è sempre molto lucido. Credo che tutto quello che ha passato abbia ricalibrato il termometro della sua emotività. Lui non si emoziona per quelle cose che di solito farebbero emozionare noi. In fondo, se a tredici anni sei costretto a rubare le scarpe a della gente morta, per sostituire le tue, be’, di cosa puoi ancora stupirti?

  • La vicenda si conclude con la telefonata tra Enaiatollah e la madre. Sa se si sono rivisti? Che rapporto ha oggi Enaiatollah con il suo paese e le sue origini?

Purtroppo non si sono più rivisti. La mamma è mancata tre anni fa senza che Ena avesse la possibilità di tornare in Afghanistan a trovarla. Ma si sono sempre sentiti per telefono e lui continua a informarsi sulla situazione politica e sociale del suo Paese.

  • In merito alla tematica scottante delle migrazioni, qual è la posizione di  Enaiatollah? E la sua?

È un tema complesso che ha bisogno di risposte complesse. È un tema che trattiamo come fossimo sempre in emergenza perché non abbiamo la saggezza e la serenità di considerare le migrazioni come un dato naturale e strutturale delle nostre società. Ma non si fermeranno. E prima o poi dovremmo accettarlo e cambiare strategie. 

  • Com’è nata la sua passione per la scrittura? Desiderava fare lo scrittore fin da bambino?

Non so quando ho cominciato a scrivere, ho come la sensazione di averlo sempre fatto. Ho un ricordo vago di me bambino, forse facevo le elementari, che ricopio brani del Giornalino di Gian Burrasca sul mio diario personale per far finta di averli scritti io (un plagiatore in fasce, insomma). E so di aver pubblicato un racconto horror sul giornalino della scuola, in prima liceo. Invece, so bene perché. Per dilatare la mia vita, renderla più spaziosa ed eterogenea. Fin da piccolissimo, lì dove c’era una storia, c’ero io. Che fosse veicolata da un fumetto, da un quadro, da un film, da un libro, o che fosse messa in scena su un palco, non aveva importanza.   

  • Come scrive di solito, a mano o al computer?

Computer, ma certo. A mano so a mala pena fare la firma. (Scherzo eh! Ma non molto).

  • Ha dei nuovi romanzi in cantiere? Quali tematiche affronteranno? 

Ho sempre nuovi romanzi in cantiere, ma per ora… segreto!

Qui potrete leggere la nostra recensione del libro.