La parola “tulipano” viene dal turco “tulbend”, che significa “turbante”. E infatti rimanda al copricapo che si usa nelle zone medio orientali del mondo. Questo non è un caso, perché i bulbi di tulipano arrivarono in Europa dalla Persia nel 1554. Si diffusero in particolare in Olanda e ancora oggi i tulipani sono un vero e proprio simbolo dei Paesi Bassi. il 1 maggio in Olanda c’è proprio la festa dedicata a questo fiore.
I tulipani però erano però, inizialmente, molto costosi e per questo erano considerati un bene di lusso quasi come i diamanti. Nel Seicento, i bulbi dei tulipani, per quanto erano ritenuti preziosi, potevano anche essere scambiati con terreni e bestiame. Con il passare degli anni venne aumentata la produzione e si favorirono anche degli innesti, si fecero tante sperimentazioni che consentirono di produrre fiori di molti colori, tutti diversi e nuovi. I più richiesti erano quelli striati che si ottenevano iniettando nel bulbo un virus, pensate un po’. Finalmente questo bel fiore stava pian piano diventando accessibile a tutti. Oggi in Olanda ci sono tantissime zone in cui possiamo incontrare grandi coltivazioni di tulipani, da visitare a piedi o in bicicletta, come fanno i locali.
Ma nel linguaggio dei fiori, cosa rappresenta il tulipano? Ho letto che alla donna amata si usa regalare la rosa in diverse zone del mondo, ma non tutti sanno che è invece il tulipano il simbolo dell’amore oltre la morte. Se la rosa è l’amore terreno, il tulipano rappresenta una dimensione più alta: quella dei sentimenti più nobili, dell’amore che tende all’infinito. Al riguardo, esistono alcune leggende, la più famosa è iraniana, e racconta la morte di Shirin, una bellissima giovane innamorata di Farhad, partito in cerca di fortuna che però non tornò mai più. Disperata, la fanciulla si mise alla ricerca dell’amato fino a quando, in preda allo sconforto più totale, cadde su alcune pietre aguzze e si fece male, così tanto che morì, in un mare di lacrime e di sangue. Proprio da quel sangue, in quel luogo, nacquero i primi tulipani. Rossi, ovviamente, perché rosso è il colore del sangue ma anche della passione e dell’amore.
Mi piace molto studiare la geografia anche attraverso simboli e tradizioni dei Paesi. Questa dei tulipani è stata una bella scoperta.
Le Colonne d’Ercole rappresentano un luogo di miti e leggende. Secondo gli antichi Greci, le Colonne d’Ercole, che sarebbero i due promontori rocciosi che danno forma alloStretto di Gibilterra, esistevano per indicare il limite oltre il quale non era più possibile andare, né tantomeno fare ritorno perché oltre quel limite c’era l’ignoto, e quindi il pericolo.
Oltre quel limite, oltre lo stretto, il Mar Mediterraneo si incontra con l’Oceano Atlantico, un mare tranquillo e “chiuso”, va a sfociare nell’impetuoso e “aperto” oceano: si capisce che questo poteva destabilizzare i popoli antichi, che non avevano le conoscenze che noi abbiamo oggi, soprattutto quelle relative alla geografia, al clima, alle scoperte geografiche e cartografiche.
Si credeva che le “colonne” fossero state posizionate da Ercole, per limitare i lati dello Stretto di Gibilterra, proprio per scoraggiare i viaggiatori più curiosi. Il mito racconta che l’eroe avrebbe dovuto superare ben 12 fatiche, non varcando mai, però, lo stretto. Le fatiche sono:
Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
Uccidere l’immortale idra di Lerna;
Catturare la cerna di Cerinea;
Catturare il cinghiale di Erimanto;
Ripulire le stalle di Augia;
Disperdere gli uccelli del lago Stinfolo;
Catturare il toro di Creta;
Rubare le cavalle di Diomede;
Impossessarsi della cintura di Ippolita;
Rubare i buoi di Geriore;
Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperiodi;
Portare vivo il Cerbero a Creta;
L’eroe doveva espiare le sue colpe con queste prove perché aveva ucciso alcuni membri della sua famiglia. Si racconta che arrivò fino alle pendici dei monti Calpe e Abila, che erano proprio considerati i limiti estremi del mondo, e che decise di scindere il monte in due parti creando i promontori di cui parlavamo prima, simbolicamente le due colonne d’Ercole, e che vi impresse l’incisione con la scritta “non plus ultra”. Nell’immaginario della gente e degli studiosi si generavano tante ipotesi: Platone pensava per esempio che ci fosse la famosa isola di Atlantide, Dante Alighieri immaginava che ci fosse il Purgatorio, raggiungibile solo dopo cinque mesi di navigazione oltre le Colonne. Ma ci sarà Cristoforo Colombo, che proprio oltre le colonne cerca una rotta che lo porti alle Indie.
C’è sempre qualcuno che non ha paura di superare i limiti, che risponde al richiamo della curiosità, che è molto più forte di quello della paura.
“Hic sunt leones”, qui ci sono i leoni, è un detto usato dai romani, e infatti è scritto in latino, che si riferiva alle zone pericolose e inesplorate dell’Africa. Qualcuno diceva anche “hic sunt dracones” (“qui si trovano i serpenti”) o “hic nascuntur elephantes” (“qui nascono gli elefanti”) . Servivano a fare paura, a cercare di non incoraggiare a oltrepassare determinati limiti. Mi sono chiesto se non servissero per comandare e controllare. Però, per fortuna c’è stato nella Storia qualcuno che non ha avuto paura di combattere i leoni e i dragoni!
Un giorno, mentre guardavo distrattamente un documentario, sono rimasto colpito da un luogo, se luogo davvero lo si può definire. Poi ne abbiamo parlato a scuola nell’ora di geografia e mi sono incuriosito ancora di più. Sto parlando del Cammino di Santiago, uno dei pellegrinaggi più famosi del mondo. Quale posto migliore per parlarne, se non il nostro blog che approfondisce storie di cammini, di popoli, culture diverse e sostenibilità?
Dunque vi spiego bene: questo cammino è un percorso composto da una serie di itinerari che, partendo da luoghi diversi della Spagna, del Portogallo e della Francia, consentono di arrivare a Compostela, città spagnola, dove i pellegrini ottengono il perdono dei peccati o comunque, se non sono religiosi, terminano il loro cammino in un posto bellissimo e storicamente importante. È una esperienza unica ed emozionante, da fare da soli o in gruppo, a piedi o in bici: camminare vuol dire sempre ritrovare se stessi e sfidare i propri limiti fisici e psicologici, entrando in contatto con la propria spiritualità. Una fortuna, Lo dovremmo fare tutti più spesso. E poi è un’attività sostenibile, non inquina, fa bene alla natura, alle gambe, ai polmoni e al cuore. E poi questo cammino ripercorre luoghi della storia, quindi unisce a tutto ciò anche la bellezza di conoscere qualcosa in più del nostro passato. Mi piace questa idea del turismo sostenibile!
Lo scopo di questo cammino è raggiungere la Cattedrale di Santiago de Compostela per venerare le reliquie dell’apostolo San Giacomo, Santiago appunto. Ogni anno a questo pellegrinaggio partecipano circa 300 mila persone provenienti da tutto il mondo. Mi sono posto tante domande sul perché ogni anno tutta questa gente avesse sentito il bisogno di fare questo viaggio ed ho scoperto che i primi pellegrinaggi risalgono al XI secolo, quando vennero scoperti qui i resti della salma di Santiago. Secondo la leggenda, San Giacomo fu uno dei dodici apostoli di Gesù e, dopo la morte del Messia, si adoperò per un’opera di evangelizzazione nei territori della Spagna ma venne ucciso pochi anni dopo al suo rientro in Palestina, mentre il suo corpo fu sepolto in Galizia. Il cammino di Santiago viene riconosciuto soltanto nel 1492 da Papa Alessandro VI.
Il cammino si divide in tre sezioni principali: il cammino francese, il tratto nel nord della Spagna e quello portoghese. L’importante è percorrere almeno 100 Km del Cammino di Santiago (sugli 800circa totali) per ottenere la Compostela. Il pellegrinaggio è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1993. Non esiste un unico simbolo del Cammino di Santiago, ma veramente tanti, anche se i più comuni sono la croce del cammino, la conchiglia e la freccia gialla.
Uno dei simboli indiscussi è la freccia gialla,flecha amarilla, dipinta con un pennello ovunque, su strade o alberi, insomma dove capita. Nasce nel 1984 grazie a un sacerdote che in questo modo riuscì a indicare l’itinerario ai pellegrini del tratto francese. Poi c’è la conchiglia di San Giacomo o vieira, mollusco di cui sono ricche le coste della Galizia e che i pellegrini portavano via come premio ed era veramente una prova che avessero concluso davvero il cammino, visto che la vendita di queste conchiglie era consentita solo a Santiago de Compostela. Infine, in parallelo all’altra grande meta della cristianità, Gerusalemme, che ha la croce Leonina, anche al Cammino di Santiago è stata associata una croce particolare, la Cruz de Santiago, che rappresenta una spada con un’elsa “a giglio” e che è di solito dipinta in rosso.
Tante bellissime curiosità e una storia lunghissima che si intreccia alla religione. E alla geografia: cammini, confini superati, Paesi attraversati, incontro con gli altri pellegrini. Che bello tutto questo!
Dopo aver fatto questa ricerca credo e sono convinto che questo pellegrinaggio sia una esperienza da provare perché sono sicuro che le emozioni che si provano sia a livello fisico che mentale sono uniche e irripetibili. Quando sarò più grande mi riprometto di farlo e di poter condividere e confermare che ne è valsa la pena.
Il padre della stampa è Gutenberg, lo sappiamo tutti. Mi ha molto colpito la storia della sua invenzione, perché credo che sia una delle più importanti di tutti i tempi. Una di quelle che ha davvero cambiato la storia, perché ha cambiato la mente delle persone. Gutenberg h fatto in modo che si diffondesse la cultura in lungo e in largo, quindi praticamente ovunque, e nel tempo, quindi in ogni periodo storico da quel momento in poi. Questa tecnologia, infatti, ha permesso la diffusione del sapere in maniera economica e veloce, anche tra persone che altrimenti non avrebbero potuto permettersi di comprare un libro. Insomma, la stampa a caratteri mobili, nata il 3 febbraio 1468 è forse la prima arma di istruzione di massa e quindi nelle slides potrete leggere chi era quest’uomo e cosa sono i suoi caratteri mobili.
L’acciaio a Toledo era famoso già dal 500 a. C. Mi sono appassionato mentre a geografia parlavamo di Spagna, di influenze, di contaminazioni. E voi? Volete saperne di più? Cliccate sul file con il mio approfondimento e…buona lettura!
Mentre Daniele tirava fuori gli oggetti dalla sua “scatola geografica” e ci parlava della Germania, durante l’ora di geografia, mi ha incuriosito particolarmente il nome di un luogo: Selva Nera. Mi sono chiesto da dove venisse e ho deciso di approfondirlo.
Ecco il mio lavoro, cliccate sul file e buona lettura.
In Italia ci sono molti piccoli comuni sperduti e/o abbandonati che invece sono bellissimi, secondo noi, e nascondono tradizioni antichissime, paesaggi meravigliosi e storie emozionanti.
Si concentrano soprattutto nella zona interna dell’Italia, arroccati lungo il nostro splendido Appennino.
Dovremmo valorizzarli e riscoprirli, perché altrimenti si perderà anche un pezzo della storia dell’Italia. Su un articolo di Repubblica leggiamo: <<Sono 5.498 i piccoli Comuni in Italia (con popolazione pari o inferiore a cinquemila abitanti ma anche quei comuni istituiti con la fusione tra centri che hanno, ognuno, popolazione fino a 5.000 abitanti) su un totale di 7.914: rappresentano il 69,5% del complesso dei Comuni italiani e amministrano il 50 per cento del territorio nazionale. Ci vivono quasi 10 milioni di cittadini, il 16,51% della popolazione italiana>>.
Esiste anche una legge, la legge Realacci, che serve a tutelarli. Questa norma prevede: il recupero dei centri storici, la diffusione della banda larga, la tutela dell’ambiente, la prevenzione del rischio idrogeologico e la realizzazione di itinerari turistico-culturali ed enogastronomici.
Questo permette di andarli a visitare e di scoprirli attraverso un turismo sostenibile che ci piace e apprezziamo, ne hanno parlato gli studenti degli anni scorsi anche qui. Tra i vicoli di questi borghi si sente l’odore del pane appena sfornato e si è circondati dalla natura. È un’Italia lontana dalle grandi mete turistiche tradizionali, ma assolutamente magica..
In fondo, a pensarci bene, l’Italia è un Paese di paesi, territori che da troppo tempo, però, sono stati lasciati in balìa dello spopolamento e dell’abbandono: i giovani vanno verso le grandi città e nei borghi non resta nessuno. Che possiamo fare? Renderli più interessanti e funzionali secondo noi, anche attraverso attività culturali per esempio.
Il circuito dei Borghi Autentici d’Italia è una rete che riunisce piccoli e medi comuni italiani con l’obiettivo di farli scoprire e conoscere. Ci sono moltissimi paesi abruzzesi che ne fanno parte. Spulciate sul sito per saperne di più e ricordatevi che la ricchezza non necessariamente sta nel centro, ma è spesso nascosta anche sui margini e sui confini.
Il solstizio d’estate per molti è il momento più bello dell’anno. In tutto il mondo si festeggia il ritorno della luce, dell’estate, delle giornate lunghissime, dei fiori, del sole.
Vedremo come il solstizio è festeggiato in diversi posto del Mondo. Cominciamo con la Finlandia. Juhannus è la tradizionale festa nazionale finlandese per celebrare il giorno più lungo dell’anno. Poiché segna l’inizio della stagione estiva, molti finlandesi vanno in vacanza simbolicamente proprio quel giorno o se non possono partire fanno piccole gite giornaliere. La fine di giugno è un periodo pieno di eventi, soprattutto perché qui il buio ormai scomparirà per tutta la stagione e si vedranno sempre più spesso i meravigliosi fenomeni del sole di mezzanotte.
Nelle regioni settentrionali della Lapponia Finlandese il Sole resta sopra l’orizzonte per più di 70 giorni consecutivi, sotto il Circolo polare, invece, tramonta ma solo per pochissimo tempo durante la notte e cmq non si può dire che diventi buio davvero.
Le tradizioni principali del solstizio d’estate sono legate ad alcuni elementi principali: sauna e bagno nelle acque pure finlandesi, fiori e fuochi accesi.
Fare la sauna e poi il bagno è simbolo di rigenerazioni in tutte le culture nordiche, oltre ad essere una importante pratica di benessere, soprattutto per la circolazione. Secondo una credenza popolare, poi, se una giovane ragazza ripone sette fiori appena colti sotto il suo guanciale prima di addormentarsi il giorno del solstizio d’estate, riuscirà a sognare il suo futuro fidanzato. E infine i falò, cioè i kokko. Di solito si accendono il giorno di San Giovanni (Juhannus appunto) per il solstizio d’estate, in zone controllate e sicure per bruciare gli spiriti maligni e purificare l’atmosfera. Nei tempi passati il solstizio d’estate era considerato un momento magico, di passaggio, con varie tradizioni legate alla fertilità, all’abbondanza e all’amore. Non a caso molti matrimoni sono organizzati proprio in questo periodo, complici le temperature più favorevoli.
“uhannus è un momento di transizione fra due mondi, quello del buio e quello della luce e infatti, per attirare la buona sorte luminosa e gli spiriti amici i finlandesi amano divertirsi facendo rumore e bevendo molto,brindando alla vita che con l’estate torna a esplodere.
Le foreste tropicali sono dei biomi che si sviluppano nelle zone equatoriali, cioè nelle aree dove le temperature elevate e le forti precipitazioni durante tutto l’anno, permettono alla vegetazione di restare sempre verdi, rigogliose, potentissime. Queste foreste si trovano in Africa, Asia e America Latina, in quest’ultima è collocata la più importante di tutte, l’Amazzonia. Anche se occupano “solo” il 7% delle terre emerse, le foreste tropicali racchiudono più della metà di tutte le specie animali e vegetali del mondo intero: una biodiversità incredibile!
L’Amazzonia è la più antica foresta pluviale del mondo: ha 100 milioni di anni, si sviluppa in un’immensa pianura alluvionale compresa tra il massiccio della Guayana a nord e l’altopiano del Brasile a sud, l’oceano Atlantico a est e la Cordigliera delle Ande a ovest. Con una superfice di 6,7 milioni di chilometri quadrati, è la più vasta e variegata foresta tropicale e pluviale della Terra e il più grande bacino fluviale del pianeta. La regione corrisponde per gran parte al bacino del Rio delle Amazzoni, si estende dalle Ande fino all’Oceano Atlantico, e si trova per circa due terzi in Brasile, mentre la zona rimanente si divide tra Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Venezuela, Suriname, Guyana e Guayana Francese. L’area è coperta prevalentemente da una fitta foresta pluviale umida tropicale, intervallata da savane, praterie, paludi, bambù e foreste di palme che costituiscono ecosistemi unici e una ricchezza ineguagliabile in termini di biodiversità acquatica e terrestre. Basti pensare che il 10% delle specie conosciute sulla Terra provengono dall’Amazzonia. Il più grande numero di specie di pesci d’acqua dolce al mondo si trova in questa regione (circa 3.000) a cui si aggiungono 427 specie di mammiferi, 1.300 di uccelli, 378 di rettili e 427 di anfibi. Inoltre in questo vasto bioma il 75% delle 40.000 specie di piante presenti sono uniche ed endemiche. Lo stesso livello di diversità si riscontra per gli invertebrati: ogni 2,5 kmq di foresta si possono rilevare circa 50.000 specie diverse di insetti.
L’Amazzonia gioca un ruolo fondamentale nella stabilità del clima regionale e globale, non solo perché la sua vegetazione trattiene il carbonio, ma anche perché grazie al suo immenso bacino idrografico facilita la circolazione dell’aria che dall’Oceano Atlantico si muove verso le Ande orientali.
Cascata do Caracol (Canela, Brasile)
Tutta questa abbondanza di risorse naturali non è sfuggita al gigantesco appetito dello sviluppo economico e delle multinazionali che ne sfruttano il territorio e le materie prime su scala industriale. Infatti il più grande nemico di questi ecosistemi è l’uomo.
La deforestazione è uno dei principali problemi a cui le foreste tropicali vanno incontro: non solo le piante, ma anche gli animali che ci vivono sono in serio pericolo. Più della metà delle foreste tropicali del mondo sono state distrutte in modo irrimediabile. L’Amazzonia è un grande “produttore” di ossigeno, unico “antidoto” per l’effetto serra: l’accumulo nell’atmosfera di anidride carbonica e di altri gas e il conseguente trattenimento del calore solare, ha portato negli ultimi 130 anni a un riscaldamento della superficie terrestre. Se questo fenomeno non si fermasse le conseguenze potrebbero essere catastrofiche: evaporazione dei mari, scioglimento dei ghiacci polari, scomparsa di molte forme di vita. Un patrimonio dell’umanità; una riserva di ossigeno per il mondo che dobbiamo assolutamente tutelare.
Non solo natura: l’Amazzonia è anche un territorio in cui vivono popoli indigeni. Sono circa 400 i popoli, con circa un milione di persone, che vivono nelle foreste amazzoniche.
Comunità come quelle dei Karipuna, Guarani, Yanomani, Kichwa, Shuar, Wajapi spesso vivono in isolamento volontario o non sono mai stati a contatto con il mondo esterno. Tribù che con la loro storia e con le loro tradizioni rispettose della Natura che li circonda hanno contribuito a plasmare e proteggere la biodiversità di questi grandi ecosistemi. L’Amazzonia è abitata da società che hanno in comune molti tratti culturali, ma le cui lingue sono caratterizzate da una grande diversità. Ci sono circa 330 lingue esistenti. Nonostante le disparità, il contatto a lungo termine tra molti dei linguaggi, ha creato somiglianze tra molte lingue confinanti che non sono geneticamente correlate tra loro. Le piccole tribù parlano anche l’inglese, che viene utilizzato come una delle loro lingue secondarie. Gli indigeni che vivono in questi territori devono adattarsi alle condizioni ambientali presenti, ad esempio il cibo. La principale fonte di proteine per queste tribù è il pesce, seguito dalla caccia di pecari, tapiri, roditori e scimmie. L’espansione agricola, con la sua versione del taglia e brucia, è iniziata sulle montagne delle Ande occidentali e si è estesa sulla maggior parte dei principali fiumi in Amazzonia. Alcuni gruppi, in particolare quelli che si basano sull’agricoltura, sono piuttosto aggressivi e inclini ad attaccare i loro vicini. Tuttavia, esistono relazioni simbiotiche tra le diverse civiltà: ad esempio i Tucanoans, che si basano sull’agricoltura, commerciano con i Nadahup, che sono cacciatori-raccoglitori. Questi ultimi forniscono carne animale dalla selva e veleno ottenuto da pesce, e in cambio ricevono farina di tapioca dalle piantagioni Tucanoan, così come la ceramica.
Le tribù di indios esistenti in Amazzonia sono numerosissime; vediamone qualcuna.
I Tupi erano una delle più importanti popolazioni indigene del Brasile. Gli studiosi ritengono che inizialmente si stabilirono nella foresta amazzonica. Erano divisi in diverse tribù costantemente in guerra tra loro. I Tupi mangiavano i resti dei parenti morti come una forma d’onore e rispetto per i defunti. Il fenomeno dei rituali di cannibalismo in Brasile è diminuito costantemente dopo il contatto europeo e l’intervento religioso.
Gli Ye’kuana, sono una tribù che abita case con struttura circolare con un tetto a forma di cono fatto di foglie di palma. Costruire una atta, nome di queste abitazioni, è considerata una attività spirituale in cui il gruppo riproduce la grande casa cosmica del Creatore.
Gli Awá (o Guajá) sono un gruppo in via di estinzione di indios che vivono nella parte orientale della foresta amazzonica del Brasile. Ci sono circa 350 membri, e 100 di loro non hanno alcun contatto con il mondo esterno. Originariamente vivevano in insediamenti, ma hanno adottato uno stile di vita nomade, circa nel 1800, per sfuggire alle incursioni da parte degli europei. Nel corso del 19° secolo, furono sempre più sotto attacco da parte dei coloni, che hanno eliminato la maggior parte delle foreste dalla loro terra. Dalla metà degli anni 1980 in poi, alcuni Awá si sono trasferiti in insediamenti stabiliti, ma per la maggior parte sono stati in grado di mantenere il loro stile di vita tradizionale, in cui vivono del tutto nelle loro foreste.
Rio Negro
L’Amazzonia quindi è territorio di molte tribù che rappresentano un patrimonio genetico, sociale e culturale unico al mondo e la cui distruzione equivale a bruciare un libro di storia senza averlo letto.
Articolo di Greta Mannella e Lara Pacella, classe 3B